Weekly AI news è la nostra rassegna settimanale sulle notizie più rilevanti legate al mondo dell’intelligenza artificiale.
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C’è un vortice che, tra il riposizionamento valoriale dei social network e gli interessi politici, sta rivoluzionando il panorama AI.
L’ormai famosa scena dei cosiddetti ‘oligarchi’ tech, definizione più giornalistica che sostanziale,al cospetto di Trump (da Altman a Zuckerberg, da Bezos a Cook) non deve ingannare: non si tratta tanto di sostegno politico, quanto di assetto strategico, solo in parte commerciale. Le immagini che ritraggono gli atteggiamenti un po’ imbarazzati di alcuni dei presenti alla cerimonia, consci del loro bisogno di opportunismo in un ambiente che non li rappresenta (su tutti ad apparire un po’ fuori posto è stato Sundar Pichai di Google), parlano da sé.
Il mondo dell’AI è entrato nelle istituzioni USA con un’eccentrica testa d’ariete, Musk, e deve sfruttare questa occasione. Le big tech non erano presenti tanto in quanto super multinazionali tecnologiche, ma soprattutto in quanto giocatori principali nel torneo dell’intelligenza artificiale.
Una prova in tal senso è stata l’assenza di Satya Nadella di Microsoft. La company ha ritenuto più opportuno partecipare attraverso la sola presenza di Altman, di fatto il volto del suo distaccamento AI.
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Per le big tech il bisogno primario è di assicurarsi che il nuovo governo non intenda imbrigliare il settore. Trump da quell’orecchio ci sente bene, tanto che a pochissime ore dall’insediamento cancella le norme sulla sicurezza di Biden e avalla uno dei più grandi piani privati di sempre per l’intelligenza artificiale: 500 miliardi di dollari (a tendere) per una joint venture di nome Stargate, collaborazione tra OpenAI, Oracle e Soft Bank. Sarà finalizzata soprattutto alla costruzione di nuovi data center.
Il ruolo del governo è quello di facilitatore dell’operazione. Musk non pare avere un ruolo in questa operazione ma sembra che dalla sua posizione non voglia, come era parso qualche settimana fa, ostracizzare Sam Altman, con cui comunque continua a litigare sui social.
Musk rimane il vero passepartout degli interessi AI nelle istituzioni americane, anche se la cosa pare non fare necessariamente il suo gioco. Il progetto Stargate non è piaciuto al magnate e non ha avuto problemi a dichiararlo su X, in un botta e risposta con lo stesso Altman.
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Però vedendo la cosa in prospettiva, occorre iniziare a suddividere i piani. Gli stessi che si mostrano uniti per un fine comune nelle foto dell’insediamento, il giorno dopo litigano di fronte al mondo intero senza alcuna volontà di nascondere i disappunti. La verità è che probabilmente gli screzi su X dei CEO del tech non vanno presi troppo sul serio. Contano soprattutto le finalità.
Il punto fondamentale è che sia gli esponenti delle istituzioni sia quelli delle aziende sanno che in questa fase conta soprattutto lanciare dimostrazioni di potenza tech alla Cina, ma senza intralciare lo sviluppo commerciale internazionale (come Biden ha fatto bloccando gli export dei chip e irritando Nvidia). L’importanza che TikTok negli USA ha rivestito nel dibattito internazionale è solo un esempio. La presenza dei big del tech schierati in fila di fianco al nuovo Presidente è un messaggio non tanto all’Occidente quanto a Pechino.
La prova? In contemporanea all’annuncio di Stargate, la cinese DeepSeek annuncia con un post (proprio su X, la tana del leone) la creazione di un nuovo modello chiamato R1, un’AI “ragionante” che, secondo l’azienda, può competere con o1 di OpenAI. Le tempistiche non sono casuali.

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La missione geopolitica e strategica compiuta nel pellegrinaggio da Trump non impedisce a tutte le big tech di continuare tranquillamente a farsi competizione.
In molti lanciano in contemporanea applicazioni agentiche AI. OpenAI rilascia ufficialmente negli USA Operator, agente che naviga nei browser in autonomia. Perplexity insegue il nuovo trend presentando il suo assistente AI per Android, modello multimodale in grado di utilizzare altre applicazioni.
E anche Google rilascia aggiornamenti che trasformano Gemini in un agente AI nei device. Il gruppo stanzia poi un nuovo investimento di oltre 1 miliardo di dollari in Anthropic, rafforzando il legame con i fratelli Amodei. In qualche modo Google accentua dunque la sua distanza da OpenAI e Microsoft ma si avvicina ad Amazon.
E giungono voci proprio da casa Amazon sulle motivazioni all’enorme ritardo nel rilascio della versione generativa di Alexa AI. L’azienda è davvero molto indietro nel rinnovamento di quello che, teoricamente, rappresenta il cuore della sua offerta e che ad oggi suscita un effetto quasi antiquato. Il fatto è che Amazon starebbe cercando di rendere il rischio di allucinazioni prossimo allo zero. Viene da augurare buona fortuna, perché sono in molti a ritenere che questo obbiettivo ingegneristico non sia possibile.
E gli ostacoli non sono rappresentati solo dalle allucinazioni, come ci ricorda la vicenda della società britannica Sage Group.
L’azienda, autoproclamatasi “leader” nel settore della tecnologia contabile e finanziaria per le aziende, ha dovuto sospendere il suo assistente AI Sage Copilot dopo che questo ha fornito i registri finanziari di alcuni clienti, con informazioni riservate e sensibilissime, ad altri clienti. Tutto quello che si doveva fare per ottenere queste informazioni era chiedere. L’azienda ha sminuito il caso (frutto, più che di allucinazioni algoritmiche, di negligenza umana) bollandolo come “un problema di poco conto”. Invece scoperchia un problema enorme, che sorpassa i limiti della tecnologia generativa: anche una volta ottenuta un’AI affidabile, le persone sanno usarla?
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La vicenda di Sage è utile per introdurre uno sguardo più largo all’Europa. Mentre gli USA sono travolti dal vortice trumpiano, oltreoceano emerge una inquietante tendenza ancora non granché dibattuta. Da più di un anno si tende ad accentuare la dicotomia tra gli USA (il mondo della spinta AI ‘dal basso’ prolifica e spudorata perché non soggetta a strette normative) e l’Europa (che invece norma ancor prima di avere qualcosa da normare).
Ma tanto l’innovazione privata europea appare disarmata al confronto con la Silicon Valley, tanto più le istituzioni europee mettono lo zampino nell’evoluzione dell’AI più di quanto forse dovrebbero. Il risultato è che spesso l’Europa, cercando di accompagnare il settore e facendo da collante degli interessi privati, fa penetrare l’AI all’interno dei suoi meccanismi.
Mentre latita l’innovazione industriale europea, prende dunque piede l’applicazione dell’AI in una sorta di tecno-controllo della sorveglianza istituzionalizzato dall’alto. Giungono sempre più resoconti su un’ampia volontà di implementazione di polizia predittiva, riconoscimento facciale o controllo attraverso dati biometrici, specialmente da Francia e Gran Bretagna. Tutte applicazioni dell’AI citate e parzialmente normate dall’AI Act.
La prospettiva di un’Europa in cui lo sviluppo AI rischia di diventare appannaggio solo delle istituzioni a scopo di sicurezza e controllo è una deriva che andrebbe monitorata, perché potenzialmente ben più pericolosa dell’aggressività commerciale americana.
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