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Class action e CEO ostili, cresce la resistenza: ma il mercato spinge per un’AI sempre più umana | Weekly AI #120

Weekly AI news è la rassegna stampa settimanale curata dai nostri editor sui temi più rilevanti legati al mondo dell’intelligenza artificiale.

Non passa settimana senza che spunti una nuova causa verso qualcuna delle principali aziende di intelligenza artificiale. L’ultima in ordine di tempo è quella contro Anthropic. La società dei fratelli Amodei, che si presenta (in teoria) come ‘quella etica’, viene trascinata in tribunale da una class action di scrittori che la accusano di furto di contenuti.

Per mettersi al riparo da nuove cause simili, OpenAI annuncia un nuovo tassello nella costruzione di un’editoria su misura di AI. L’azienda di Altman firma uno storico accordo con Condè Nast per integrare i contenuti di marchi iconici come Vogue, Wired e The New Yorker all’interno della sua suite di prodotti AI, tra cui ChatGPT e il nuovo SearchGPT. L’editoria digitale continua ad essere spaccata in due. Da un lato ci sono realtà che non smettono di querelare le big tech, come il New York Times. Da un altro sono sempre di più le testate, come il Financial Times, Le Monde o in Italia il Corriere della Sera, che stringono accordi con i colossi AI. Secondo alcuni, cedendo a quello che di fatto è un ricatto sui contenuti. L’unica cosa certa è che a uscirne vincitrice, per adesso, è sempre OpenAI.

Che nel frattempo di tanto in tanto riveste i suoi panni di laboratorio di ricerca per calmare gli animi. In un recente paper l’azienda annuncia di studiare i rischi di dipendenza emotiva dall’AI e raccomanda prudenza nell’attribuire un’eccessiva antropizzazione all’AI. il tutto appare piuttosto paradossale dal momento che avvicinare l’empatia di ChatGPT a quella degli esseri umani rimane il primo degli obiettivi di OpenAI.

Anche Google mira a rafforzare la relazione tra utenti e l’AI e lo fa attraverso il lancio dei suoi nuovi smartphone AI Pixel, con cui sfida Apple e Samsung sul terreno dei device ‘intelligenti’ progettati per diventare assistenti. Sulla scia di questo trend arrivano due storie emblematiche.

Una personalità vicina a Google, l’ex CEO Eric Schmidt, annuncia la nascita di una nuova startup che rifornirà l’Ucraina di droni con intelligenza artificiale nella sua guerra contro la Russia. Si tratterà di droni in grado di identificare e colpire gli obiettivi senza supporto umano. Mentre dalla California rimbalza fino a noi invece la vision di un’azienda che progetta e crea negozi completamente autonomi, che non necessitano personale. Due modi tra loro piuttosto distanti di pensare all’intelligenza artificiale come ‘assistente umano’, eppure due esempi che insieme testimoniano fedelmente il nostro tempo.

Difficile cogliere la posizione dell’opinione pubblica di fronte all’arrivo di un mondo digitale ‘intelligente’ che ci accompagna in ogni attività. Qualcuno ci vede il progresso, qualcun altro la catastrofe.

Di sicuro l’AI non esce mai benissimo quando è accostata alle elezioni politiche. Nella corsa alla Casa Bianca Donald Trump condivide sui social media immagini create con AI che suggeriscono il sostegno di Taylor Swift alla sua candidatura presidenziale. Nulla di vero ma tanto basta per confondere l’elettorato e diffondere fake news.

In mezzo a queste contraddizioni spicca l’anomala posizione, netta, di un CEO del tech a cui l’AI proprio non piace. James Cuda, dell’azienda di software grafici e disegno digitale Procreate, dichiara addirittura di odiarla. La tecnologia generativa non sarà mai inclusa nei prodotti della sua azienda, creati per la valorizzazione del lavoro degli artisti. È una rara voce fuori dal coro nel mondo del tech, dove invece la tendenza è quella di considerare l’AI il futuro indiscusso dell’umanità.

Chissà se Cuda cambierà idea se dovesse svilupparsi ProRata.ai, la nuova startup dell’imprenditore tecnologico Bill Gross. Forte di una raccolta di 25 milioni di dollari, ProRata.ai ha brevettato un algoritmo potenzialmente rivoluzionario, che può individuare con precisione l’origine dei dati degli output delle intelligenze artificiali per ricavarne in percentuale i ricavi esatti per i creatori originali di quei dati. Potenzialmente, una rivoluzione che fornirebbe una soluzione di fronte alle paure della grande svalutazione di massa delle facoltà umane.

Nei dilemmi etici che l’AI solleva oramai giornalmente, un altro buon esempio arriva come spesso avviene dal mondo della scienza. Un caso di AI utile è infatti ben rappresentato da Elicit, assistente virtuale pensato per agevolare la ricerca e l’analisi della documentazione scientifica.



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