Weekly AI | La nuova sovranità digitale, dallo strappo tra Microsoft e OpenAI all’ascesa di Russia e Sud America

Weekly AI è la rassegna settimanale di AI news sulle notizie più rilevanti legate al mondo dell’intelligenza artificiale.
Weekly AI | La nuova sovranità digitale, dallo strappo tra Microsoft e OpenAI all’ascesa di Russia e Sud America

Weekly AI è la rassegna settimanale di AI news sulle notizie più rilevanti legate al mondo dell’intelligenza artificiale.

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La rottura tra Microsoft e OpenAI si starebbe consumando con una rapidità molto maggiore di quanto immaginabile fino a poche settimane fa. Il Wall Street Journal addirittura riporta che Altman sarebbe in procinto di denunciare Microsoft per concorrenza sleale. La relazione tra le due aziende (Microsoft ha investito miliardi in OpenAI dal 2019 a oggi, rendendola di fatto un suo satellite) è l’ecosistema principale del mercato AI e un distacco, a maggior ragione se acrimonioso, creerebbe un vortice di difficile prevedibilità.

Microsoft sta stretta a OpenAI per la volontà della società di ChatGPT di imporsi come marchio distintivo nell’era della rivoluzione generativa.

Si registra un’urgenza nuova in questo senso. Le braccia di OpenAI oramai arrivano ovunque e la strategia di Altman è quella di trasformare la propria creatura in un’entità a supporto di ogni attività umana. Dunque con nonchalance passa da un accordo con Mattel per rivoluzionare il settore dei giocattoli a uno con la difesa degli Stati Uniti per una collaborazione da 200 milioni di dollari. Intanto tallona intelligentemente Google nel settore della ricerca online con l’aggiornamento di ChatGPT Search. Google per tutta risposta pianifica l’integrazione del modello di creazione video Veo 3 direttamente dentro YouTube Shorts, un passaggio a suo modo rivoluzionario nell’offerta di strumenti text-to-video (offerta allargata in questi giorni anche dall’ultimo modello di Runway).

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OpenAI è talmente ai vertici nello sviluppo dell’AI che Altman denuncia i tentativi di Meta di rubarne la forza lavoro. Zuckerberg offrirebbe ai dipendenti di OpenAI fino a 100 milioni di dollari per passare a Meta. Nessuno, tra gli attuali nomi di punta, avrebbe accettato. Il che, visto l’epilogo dei fedelissimi di Altman nel corso degli anni, ha del sorprendente. Il conflitto tra OpenAI e Meta si gioca anche sul filo della partnership privilegiata con Scale AI. Dopo l’accordo tra l’azienda e Meta, OpenAI scioglie la sua intesa con il fornitore dati, una decisione impensabile fino a pochi mesi fa.

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A proposito di lavoratori, il CEO di Amazon Andy Jassy avverte tutti i suoi dipendenti che l’adozione sempre più estesa di strumenti AI porterà a una riduzione significativa della forza lavoro nell’azienda nei prossimi anni. Il tutto mentre Amazon progetta l’investimento di 13 miliardi di dollari in una nuova mega infrastruttura di data center australiana.

A Jassy fa eco Allison Kirby, CEO del colosso britannico delle telecomunicazioni BT, che in modo più esplicito annuncia direttamente tagli del personale (fino a 55 mila dipendenti) per sostituzione con l’AI.

Anche Intel annuncia maxi licenziamenti per la sua divisione Intel Foundry. La decisione in questo caso non ha a che fare con la sostituibilità, ma è figlia di un restyling in preparazione di una nuova guerra commerciale con l’imbattibile Nvidia nel primato dei chip. Quest’ultima intanto esplora nuovi posizionamenti, lanciando un modello AI per previsioni climatiche, una di quelle proposte solitamente associate ad aziende come DeepMind.

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Scatenano poi dibattiti a non finire alcune tra le ultime ricerche sull’intelligenza artificiale. Su tutte, spicca ancora quella di Apple secondo cui i modelli ragionanti perderebbero di capacità all’aumentare della complessità delle richieste. Abbiamo contribuito anche noi, ospitando sui nostri canali un acuto dibattito tra i due divulgatori Simone Rizzo e Raffaele Gaito, di opinioni opposte sulla questione.

Degno di nota anche esperimento del MIT che attesta come l’utilizzo di AI nel lavoro intellettuale ridurrebbe l’attività cerebrale e c’è un altro dibattito che solleva importanti questioni evolutive. Fei‑Fei Li (Stanford) e Yann LeCun (Meta) prevedono che i modelli basati sul nostro linguaggio naturale saranno superati da modelli progettati per simulare una comprensione di diverso tipo, a partire da informazioni fisiche e tridimensionali. Il tutto ci permette di immaginare le AI del futuro come strumenti addestrati con forme di ‘linguaggio’ che trascendono dalla parola e dalla comunicazione esplicita rimanendo comunque creati a nostra immagine. Il tutto viaggia verso la perennemente citata AGI?

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Non lo sappiamo, ma vale la pena al riguardo attraversare le idee del fisico Federico Faggin, l’italianissimo inventore del microchip (secondo l’opinione di un certo Bill Gates, indiretto creatore dell’intera Silicon Valley). Da noi intervistato durante il We Make Future di Bologna, lo scienziato propone una visione secondo cui i computer non potranno mai avere coscienza, ragion per cui il mito perseguito dalle big tech secondo cui le intelligenze artificiali svilupperanno a breve una vera intelligenza paragonabile alla nostra, sarebbe totale fantascienza.

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Un tema che come sappiamo ridefinisce continuamente gli schieramenti commerciali ma anche quelli geopolitici. Giungono in questo senso segnali da zone del mondo fino ad oggi caratterizzate da posizioni abbastanza attendiste.

Prima si rafforza la Russia, grazie all’annuncio della banca Sberbank del prossimo lancio di una nuova versione del suo modello linguistico di grandi dimensioni GigaChatconsiderata l’unica alternativa del Paese a ChatGPT.

Poi arriva l’annuncio per il prossimo settembre di Latam-GPT, la prima AI del Sud Americapensata per rispondere alle esigenze culturali, linguistiche e sociali dei paesi latinoamericani. Frutto di una coalizione tra governi, istituzioni pubbliche e private, università e centri di ricerca, Latam-GPT non è solo un modello linguistico, ma anche a suo modo un atto politico. Una nuova espressione di sovranità digitale in un campo dominato finora da colossi nordamericani e cinesi.

Edoardo Frasso


Mentre le Big Tech raccontano ai media di chatbot “quasi umani” e robot “empatici”, chi ha dato vita al ‘cervello’ elettronico – il microchip, o microprocessore – avverte che stiamo guardando dalla parte sbagliata.

Federico Faggin, fisico e inventore della Silicon-Gate Technology (SGT) – base di tutte le memorie MOS e dei microprocessori moderni -, del primo microchip commerciale (Intel 4004) e del touchpad capacitivo usato nei notebook a partire dal 1994, oggi dedica la sua ricerca al tema della coscienza.

👉 Lo abbiamo intervistato per capire perché l’intelligenza artificiale, per definizione, non potrà mai acquisire coscienza e come questo malinteso rischi di minare la nostra stessa umanità.

✍ Intervista realizzata da Paolo Marinoni


Di recente, alcuni ricercatori di Apple hanno pubblicato il paper “The Illusion of Thinking: Understanding the Strengths and Limitations of Reasoning Models via the Lens of Problem Complexity”, focalizzato sulle performance dei cosiddetti “modelli di ragionamento”. Le conclusioni dello studio, in particolare, sollevano interrogativi sulle loro reali capacità.

Due noti divulgatori nel settore dell’intelligenza artificiale, Simone Rizzo e Raffaele Gaito, hanno espresso opinioni contrastanti sul significato e sul valore di questo paper.

👉 Per questo motivo, abbiamo deciso di contattarli per chiarire le loro posizioni in un’intervista doppia.


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