Intelligenza artificiale e mondo del lavoro: tre interrogativi

Ricerche e statistiche sull’adozione dell’intelligenza artificiale nel mondo del lavoro si rincorrono quotidianamente proponendo scenari che a fasi alterne suscitano allarmi ed entusiasmi. Ma qual è la reale entità del cambiamento che si sta avvicinando?

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Intelligenza artificiale e mondo del lavoro: tre interrogativi

Ricerche e statistiche sull’adozione dell’intelligenza artificiale nel mondo del lavoro si rincorrono quotidianamente proponendo scenari che a fasi alterne suscitano allarmi ed entusiasmi. Ciò che è certo è che siamo di fronte a una forza trasformativa destinata a incidere nella dinamica dei posti di lavoro e di come la maggior parte di questi sarà impattata dalle nuove tecnologie.

Ma qual è la reale entità del cambiamento che si sta avvicinando? Perché, se quotidianamente da una parte leggiamo di esempi virtuosi dell’intelligenza artificiale come potenziatore di produttività ed efficienza, dall’altra si sentono altrettante sirene di preoccupazione su come questa possa incidere negativamente sulle dinamiche occupazionali. Tre sono le domande che si vedono emergere con maggiore frequenza dagli articoli sul tema.

Come evolverà il mercato del lavoro?

Il primo dato che balza all’occhio è quello proposto dal World Economic Forum a inizio anno, quando il The Future Of Jobs Report 2025 ha evidenziato un +22% sull’occupazione entro il 2030. L’intelligenza artificiale dovrebbe contribuire a creare 170 milioni di nuovi posti di lavoro, a fronte di 92 milioni di posti di lavoro che si perderanno. Un saldo positivo di 78 milioni (+7% dell’occupazione attuale) che stando alla rilevazione del WEF confermerebbe quanto le aziende stiano investendo sulla tecnologia. Il potenziale trasformativo dell’AI è confermato da un ulteriore dato, secondo cui l’86% dei datori di lavoro prevede che l’AI inciderà sostanzialmente nei processi aziendali. Un valore di molto superiore all’incidenza di robotica (58%) ed energie rinnovabili (41%). Sembra pertanto scontato che l’intelligenza artificiale sarà sempre più integrata nelle strategie d’impresa, come evidenzia anche il rapporto Eurostat 2024, secondo cui i settori maggiormente attivi nell’adozione sono terziario avanzato, distribuzione, manifattura e trasporti.

Legittimo quindi chiedersi se a fronte di un’aspettativa di adoption generalizzata e distribuita, le aziende saranno in grado di trovare i professionisti giusti e le competenze necessarie per poter sostenere le strategie di implementazione. Secondo il rapporto From Potential to Profit: Closing the AI Impact Gap 2025 di BCG, l’83% delle aziende italiane dichiara infatti di avere difficoltà nel reclutare talenti, e solo il 20% ha più del 25% della forza lavoro adeguatamente formata. Dunque, sia sul fronte dell’attraction che dell’upskilling il lavoro da fare è tanto.

Quali competenze?

Le fonti più recenti, tra cui quelle già citate, mostrano interessanti punti di convergenza: le competenze digitali avanzate e le capacità umane ad alto valore salgono di importanza, mentre abilità manuali, ripetitive o di micro-precisione vengono progressivamente erose dall’automazione e dall’intelligenza artificiale. La consueta analisi proposta periodicamente dal World Economic Forum mostrerebbe tra le competenze maggiormente richieste da oggi al 2030 AI & Big Data, network e cybersecurity, pensiero analitico, pensiero creativo, flessibilità e agilità. Interessante osservare anche la presenza della technological literacy tra le principali, a sottolineare quanto l’alfabetizzazione tecnologica (sebbene l’accezione del termine inglese sia molto più ampia della traduzione italiana) sarà sempre più un must per le imprese, a qualsiasi livello e in ogni posizione.

D’altra parte, si assiste a un calo di competenze legate a destrezza manuale, competenze di base in ambito matematico, controllo qualità, data entry e revisione documentale, tutte fortemente impattate dalle capacità di automazione dell’intelligenza artificiale. La previsione per il 2030, è che la quota di lavori svolti principalmente da persone sarà pari al 33%, contro il 47% di partenza del 2025, una riduzione che mostra quanto non solo l’AI, ma anche tutta la RPA potrà influenzare l’organizzazione dei processi.

Un ultimo trend su cui vale la pena di soffermarsi è quello descritto dal The fearless future: 2025 Global AI Barometer di PWC, secondo cui la domanda dei datori di lavoro per lauree e diplomi formali starebbe diminuendo per tutti i lavori. L’analisi operata su migliaia di annunci di lavoro a livello globale dimostrerebbe che alle aziende servono competenze AI, a prescindere dal titolo di studio, rendendo i corsi di laurea o i diplomi formalismi obsoleti. È davvero così? La democratizzazione della conoscenza starebbe per soppiantare la preparazione accademica? La recente campagna, in parte provocatoria e in parte no, da parte di Palantir, “The College is Broken”, sembra supportare questa tendenza che vede nel sapere applicativo qualcosa di molto più concreto e utile del sapere accademico. Anche questo è un segnale da tenere attentamente sotto osservazione.

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L’intelligenza artificiale ci sostituirà?

Il dibattito tra augmentation vs automation è piuttosto risalente, e non è certo nato con l’intelligenza artificiale. Ma il potenziale combinato di RPA e AI lo ha riattualizzato in modo forte. La robotica promette massicce dosi di sostituzione, come dimostrerebbero anche i recentissimi investimenti di Microsoft e Amazon, con quest’ultima che conta ormai un milione di macchine integrate all’interno dei suoi plant. Sono ancora una volta le statistiche a dare qualche indicazione. Sempre secondo la ricerca di PWC, l’82% dei CEO intervistati ha affermato che l’AI ha aumentato o lasciato invariato il numero di dipendenti, smentendo le preoccupazioni sui tagli di personale. A livello globale, la domanda di lavoro nei ruoli più esposti all’AI è cresciuta del 38% tra il 2019 e il 2024, contro il 65% registrato nei ruoli meno esposti. Sarebbe insomma fuori luogo parlare di licenziamenti di massa e di sostituzioni a pioggia, quando contrariamente ai timori, i posti di lavoro e i salari aumentano in praticamente ogni occupazione esposta all’AI. Dunque, verrebbe da dire supporto sì, completa sostituzione no.

Ci sono tuttavia alcuni segnali che occorre monitorare con estrema attenzione. Come riportato in un recente articolo di The Guardian, nel Regno Unito le offerte di lavoro di primo ingresso come stage e apprendistati sono diminuite di un terzo dal lancio di ChatGPT nel 2022, passando dal 28,9% al 25% del totale delle vacancy. Allo stesso modo, il CEO di Anthropic, Dario Amodei, avverte che l’AI potrebbe tagliare fino al 50% degli impieghi da ufficio di primo livello nei prossimi cinque anni, con un possibile aumento della disoccupazione del 10-20%. Esempi come quelli offerti da Klarna e DBS dimostrano che la dinamica della sostituzione non è ancora chiara, anzi, e questo ha fatto nascere l’esigenza di monitorare il reale andamento del fenomeno sostitutivo, con la nascita di osservatori come quello della startup Layoffs che monitora quotidianamente l’andamento globale dei licenziamenti a causa dell’avvento tecnologico.


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