ChatGPT ha un problema con il consumo d’acqua, ma non è il solo

Non solo ChatGPT ma tutte le big tech hanno un problema con il consumo d'acqua; la causa è il raffreddamento dei server.

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ChatGPT ha un problema con il consumo d’acqua, ma non è il solo

Il mondo accademico sta indagando sull’impatto che i data center delle intelligenze artificiali hanno sul consumo d’acqua mondiale; negli ultimi giorni ChatGPT è sotto la lente di ingrandimento dell’opinione pubblica ma l’AI condivide la sua posizione con molte altre aziende. 

Uno studio in lavorazione

L’Università della California ha annunciato che pubblicherà a fine anno uno studio redatto dal professore associato di ingegneria elettrica e informatica Shaolei Ren. La notizia ha rilanciato mondialmente il tema del consumo di acqua dell’AI di OpenAI, una questione già ampiamente rimbalzata sui media durante il mese di aprile di quest’anno. Si stima che i server di ChatGPT consumino l’equivalente di una bottiglia d’acqua da mezzo litro per ogni interazione con gli utenti formata da poche decine di battute. I valori rappresentano solo una media, che cambia in base alle posizioni dei vari server e a fattori stagionali. Non esiste ancora uno storico di anno in anno quindi sono stime difficili da calcolare nel loro impatto complessivo

L’enorme impronta idrica dei modelli di intelligenza artificiale è rimasta sotto il radar – ha dichiarato Ren alla rivista PCMagAd esempio, l’addestramento di GPT-3 nei data center all’avanguardia può consumare direttamente 700.000 litri di acqua dolce, sufficienti per la produzione di 370 BMW o 320 Tesla”.

Il problema idrico del tech

Il tema è tutt’altro che secondario. Nessuno la pensa mai in questi termini ma l’acqua è l’elemento base delle big tech: è il metodo più economico e più immediato per raffreddare i server. Nel solo 2022, il consumo totale di acqua nei data center e uffici di Google è stato di 21,1 miliardi di litri, l’equivalente di quanto serve per irrigare 37 campi da golf all’anno negli Stati Uniti sud-occidentali. Un rapporto di sostenibilità è stato diffuso con toni insolitamente allarmisti nel 2023 da Google stessa. “Il mondo – riporta – sta affrontando una crisi idrica senza precedenti, con la domanda globale di acqua dolce che si prevede supererà l’offerta del 40% entro il 2030“.

Anche Microsoft ha presentato un rapporto di sostenibilità poco indulgente nei confronti di sé stessa: “Se continuiamo con lo status quo non proteggeremo le risorse idriche dolci per le generazioni future”.

Autocritiche ben assestate se si pensa che nel 2022 le due aziende hanno registrato un aumento del consumo di acqua rispettivamente del 34% e del 21% rispetto all’anno precedente. Il motivo principale è sempre lo stesso, la necessità di mantenere le temperature dei data center sotto controllo.

La rete mondiale dei data center

Una piccola frazione dei server mondiali sono posizionati direttamente in luoghi dai climi freddi per assicurare un raffreddamento naturale, ma rappresentano un’eccezione. Dei circa 8000 server presenti in tutto il mondo, 2700 sono nei soli USA e prelevano costantemente acqua fresca dalle riserve del paese, soprattutto nelle aree densamente popolate delle coste e cercando di sfruttare le zone meno calde.

In virtù dell’accordo stipulato con OpenAI all’inizio di quest’anno, Microsoft ha sub-affittato all’azienda i propri data center di West Des Moines, nello Iowa, località dal clima piuttosto fresco. Il raffreddamento dei data center tramite prelievo idrico scatta soltanto quando la temperatura supera i 29,3 gradi.

Uno studio pubblicato da Intelligent Computing ha calcolato che la potenza di calcolo necessaria per l’AI raddoppi ogni 100 giorni e si prevede che aumenterà più di un milione di volte nei prossimi cinque anni.

Le premesse vanno insomma nella direzione di un peggioramento ulteriore.

Tamponamento o visione?

Le aziende come Microsoft, Google, Meta o Amazon puntano sui cosiddetti ‘progetti di rifornimento’ a compensazione dei consumi di acqua. Si tratta perlopiù di progetti di ricicli reflui e raccolta di acque piovane con la collaborazione di ONG e altre organizzazioni. Secondo le previsioni delle aziende queste operazioni potrebbero compensare fino al 120% dello sfruttamento dell’acqua, ma non è chiaro se dietro a queste intenzioni ci sia una visione precisa o solo un tentativo di tamponare una situazione irreversibile.

L’evoluzione del riscaldamento globale lascia presagire inoltre un futuro in cui le zone ad oggi caratterizzate da un clima ‘fresco’ lo saranno sempre meno e quindi quello che consumano aziende come Google o Microsoft potrebbe aumentare, rendendo necessarie compensazioni ben maggiori.

Per quanto lo scenario sembri preoccupante, l’ottimizzazione dei modelli di intelligenza artificiale potrebbe anche andare nella direzione di ridurre i consumi. 

Una elaborazione più efficiente significa meno risorse di calcolo necessarie e quindi meno necessità di data center. È lo stesso principio che nei decenni ha condotto dai computer grandi come stanze ai pc portatili.

L’equilibrio tra tech e ambiente dovrà passare soprattutto da qui.


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