Stando a quanto afferma Jen-Hsun Huang, CEO di NVIDIA, mancherebbero più o meno cinque anni all’arrivo dell’AGI (Intelligenza Artificiale Generale, in inglese Artificial General Intelligence), quella che potrebbe prendere la forma di un assistente personale che impara e migliora nel tempo, grazie non solo ai progressi dei chip, ma soprattutto all’ottimizzazione del processo di elaborazione dati.
Stando a come procede l’innovazione negli ultimi anni, la velocità di accelerazione dell’AI si starebbe lasciando alle spalle anche la Legge di Moore. Ma cosa significa aver a che fare con un’AGI, e soprattutto, cosa può comportare per le persone e le organizzazioni? Ne abbiamo parlato con David Orban, fondatore di Axelera. Ed è proprio l’accelerazione dell’innovazione che sta cambiando i contorni del dibattito, tra chi vede l’AGI possibile in tempi relativamente brevi, e chi la vede come una chimera.
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La singolarità è realmente vicina?
“Ci sono una serie di definizioni e obiezioni sull’intelligenza artificiale. Le definizioni possono essere più o meno accademiche o scientifiche, ma le obiezioni sono quasi tutte di principio. Quando le obiezioni sono più tecniche o nel merito, chi le fa troppo spesso si trova nella posizione di vederle smentite da un’evoluzione più rapida dell’aspettato.
Questa dinamica ha fatto sì che, se vent’anni fa poteva esserci una maggioranza importante di esperti del campo che riteneva l’AGI impossibile o a mille anni di distanza, oggi abbiamo osservato una convergenza. Sempre meno esperti ritengono che l’AGI sia impossibile, e sempre più ritengono che invece di essere a cento anni da venire, è probabile che arrivi tra dieci, se non addirittura tra cinque anni”.
Tra le varie ragioni che hanno portato a questa riapertura del dibattito sull’AGI, che fino a pochi anni fa ristagnava nell’ambito della fantascienza o della letteratura di genere, sicuramente la capacità di essere riusciti a programmare sistemi capaci di lavorare su più dimensioni. “Siamo riusciti a impostare approcci complementari per dotare i sistemi di una capacità multimodale”, prosegue David Orban. “I sistemi sono in grado di elaborare input e output di tipo diverso, basandosi su approcci e architetture non radicalmente diverse, molto similmente a quello che avviene nel cervello umano”.
Segnali dal presente
Ray Kurzweil, una delle menti di Google che da molto tempo lavora all’intelligenza artificiale, ipotizzava già nel 2005 che entro il 2029 i computer avrebbero raggiunto un’intelligenza di livello umano. Non è l’unico, ascoltando le dichiarazioni recenti di Sam Altman, Mark Zuckerberg leader della Silicon Valley. Sarebbe dunque solo questione di tempo, e non di possibilità.
“Invece di un’attesa fra mille o cento anni”, commenta David Orban, “c’è un’attesa tra dieci o cinque anni, con le proiezioni più ambiziose che parlano del 2025. Ci sono persone entusiaste che lavorano sul suo miglioramento e persone che portano obiezioni che si trovano su un terreno sempre più ristretto. In ambiti sempre più ampi le prestazioni dei sistemi sono o già superumane, o eguagliano le prestazioni di un percentile delle persone sempre più elevato”.
Con l’evoluzione dell’AI generativa, stiamo assistendo allo svolgimento di compiti sempre più complessi da parte di sistemi di AI che non sono solo in grado di leggere le informazioni, ma anche di generare o modificare contenuto. “Jensen Huang ha confermato che NVIDIA utilizza già AI generativa per la realizzazione di chip avanzati nelle applicazioni AI”, sottolinea David Orban, “quindi è l’AI che migliora le basi dell’elaborazione dell’AI. Google ha dichiarato che già un quarto del codice che i programmatori Google inseriscono in produzione è scritto da AI. Questa quantità non sarà mai meno, tenderà ad aumentare fino a diventare il 99.999% del codice. A quel punto ci chiederemo cosa ci fanno le persone in Google”.
Il possibile arrivo dell’AGI apre pertanto nuovi scenari sul rapporto con le persone, ed in particolar modo sull’impatto con il mondo del lavoro e le organizzazioni. E questo in particolare alla luce dello sviluppo di agenti di AI, software in grado di interagire con l’ambiente, raccogliendo e utilizzando dati per eseguire attività autodeterminate e per raggiungere obiettivi predeterminati, dove gli esseri umani stabiliscono scopi per i quali l’agente di IA sceglie in modo indipendente le azioni migliori per raggiungerli.
Come prepararsi
Numerose ricerche sottolineano come l’atteggiamento ancora prevalente da parte delle persone nei confronti dell’AI sia la diffidenza, in alcuni casi la paura. La confusione che spesso viene diffusa anche tramite i social network riguardo l’AI e l’AGI non fa che alimentare un clima di timore, complici anche segnali che sembrano disorientare, come sottolinea David Orban: “I fondatori di OpenAI si sono separati tra OpenAI, Anthropic, Safe Superintelligence, xAI. Ognuno è convinto che gli altri stiano sbagliando. Nessuno ha detto ‘lascio OpenAI perché Anthropic ha ragione e voglio dare una mano a loro’. Ci sono miliardi di dollari a disposizione, tanto vale provare. Ma in termini più profondi è una totale dichiarazione che l’industria dell’intelligenza artificiale che va alla ricerca dell’AGI non sa assolutamente cosa sta per succedere. Così come i migliori ricercatori hanno dimostrato con le proprie azioni di non sapere quello che sta per succedere, anche gli Stati non ne sanno di più. Hanno una potenza e una capacità di intervento maggiore, ma non hanno più conoscenza”.
In un possibile scenario di questo genere, le imprese cosa possono fare? “A mio avviso, dare ad ogni persona in azienda un abbonamento professionale a ChatGPT o ad Anthropic e richiedere che vengano usati come compagni peripatetici”, prosegue David Orban, “in analogia esplicita con la scuola di Atene, dove fai una passeggiata di dieci minuti e cerchi di sviscerare quello che devi fare nella tua attività lavorativa o personale, ricevendo riscontri e chiarendoti le idee, è un investimento eccezionale. Costa 200 euro all’anno, e se quei 200 euro l’azienda non te li approva, è il momento perfetto per cambiare azienda. L’azienda che lo fa e si rende conto che è un investimento ben fatto per tutte le persone, assieme a linee guida di come usarlo e non usarlo, quali sono i limiti e i vantaggi, fa un investimento necessario. Magari non sufficiente, non garantirà la sopravvivenza dell’azienda o il miglioramento dei processi tale da essere pronti per quando arriva una AGI ancora più dirompente, ma il contrario è probabilmente vero. Senza fare questo investimento l’azienda garantisce che non potrà sopravvivere”.
Dunque, informarsi, formarsi e prepararsi per non farsi cogliere impreparati da una novità che potrebbe arrivare in tempi neppure troppo lontani, come suggerisce David Orban: “Partiamo dal presupposto che le aziende sappiano cos’è l’AGI e, presumendo che sia possibile e relativamente prossima, non fra vent’anni ma fra tre, quattro, cinque anni, si stiano muovendo per poterne affrontare l’emergere. Secondo me nessuna di queste tre cose è vera. Le aziende non sanno cos’è l’intelligenza artificiale generale, se ne vengono a conoscenza sono completamente scettiche sul fatto che possa arrivare, e di conseguenza non si stanno assolutamente preparando. Verranno colte di sorpresa e potenzialmente spazzate via da un cambiamento troppo grande perché vi si possano adattare”.