L’azienda tecnologica statunitense Cloudflare, attiva nel settore delle infrastrutture internet, ha lanciato l’ultimo dei suoi strumenti (“Pay per crawl”) pensati ed implementati per impedire l’attività di “scraping” selvaggio e gratuito ai fini dell’addestramento dei modelli di intelligenza artificiale.
Con scraping per AI si intende quell’attività attraverso cui un cosiddetto “crawler”, ovvero un software o un bot appositamente creati, navigano in rete alla ricerca di siti da cui estrarre informazioni e dati utili poi all’addestramento dell’intelligenza artificiale. Si tratta di una pratica comune, controversa e deregolamentata, che pone una seria questione relativa al diritto d’autore.
Tramite l’introduzione di Pay per crawl, Cloudfare offre uno strumento che permette agli utenti, autori o proprietari di siti di ottenere una giusta retribuzione in cambio dell’utilizzo dei propri dati addebitando una tariffa alle aziende che intendono raccoglierli.
L’introduzione di un’effettiva pratica di regolamentazione in questo ambito, che trasformerebbe lo scraping in una fonte di ricavo controllata, può costituire un vantaggio per coloro che detengono dei diritti sui propri dati e per tutto il settore dell’editoria. Esso garantirebbe infatti, se non raggirato con altri strumenti, solamente ai crawler autenticati di poter prelevare dati mediante un pagamento permettendo anche ai proprietari dei siti di stabilire un tetto di prezzo al quale intendono vendere i propri dati, rivoluzionando di fatto questa pratica ambigua.

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