Si è svolto in data 8 maggio l’atteso incontro fra i colossi dell’intelligenza artificiale statunitense e i membri della commissione commercio del Senato degli Stati Uniti presieduta dal senatore Ted Cruz. All’udienza hanno preso parte Sam Altman, CEO di OpenAI, Lisa Su, CEO del produttore di chip per intelligenza artificiale AMD e il presidente di Microsoft Brad Smith. In estrema sintesi, la strategia emersa dalle loro parole si può riassumere in: necessità di maggiori investimenti ed esportazioni per salvaguardare il primato attuale degli Stati Uniti nel settore tecnologico.
Il tema centrale dell’udienza, che ha fatto da padrone alla discussione, si sostanziava su come preservare il ruolo di punta e di traino rappresentato dagli Stati Uniti nel campo dell’AI e dell’innovazione ad essa collegata, cercando di scongiurare un superamento da parte della Cina che, negli ultimi mesi, ha fatto diventare questa ipotesi sempre più insidiosa sotto questo punto di vista. Non solo con il lancio di DeepSeek infatti Pechino ha minacciato di superare gli Usa nella corsa all’AI, ma anche e soprattutto a causa della presentazione di poche settimane fa di un chip di AI molto avanzato da parte di Huawei che sta impensierendo parecchio le società e le autorità statunitensi.
I temi trattati all’interno dell’articolo
La visione dei dirigenti
Secondo quanto riferito dai dirigenti statunitensi, la battaglia dell’AI fra Cina e Stati Uniti non verrà vinta da chi chiude di più il mercato al rivale e si isola, ma piuttosto da quell’attore che sarà in grado di esportare con più determinazione ed efficacia la propria tecnologia. Per dirla con le parole di Smith: “Il fattore principale che determinerà se vinceranno questa gara gli Stati Uniti o la Cina sarà la tecnologia più ampiamente adottata nel resto del mondo“.
In questo senso, i colossi dell’AI stanno cercando di esercitare forti pressioni sull’amministrazione Trump per poter ottenere l’obiettivo di una parziale riduzione delle restrizioni messe dal predecessore Biden sui legami con il mercato cinese. La precedente amministrazione Usa ha infatti imposto dei limiti severi volti ad escludere la Cina dai chip e dalle capacità di intelligenza artificiale statunitensi, per timore che Pechino possa usare questa potente tecnologia per potenziare il proprio apparato militare e, anche se ad oggi Trump ha mantenuto la stessa regolamentazione per una ragione di sicurezza condivisa, la speranza delle società di AI è che il nuovo presidente sia meno restrittivo verso queste regole soprattutto nei confronti di quelle introdotte durante gli ultimi giorni di amministrazione Biden che dovrebbero entrare in vigore a partire dal 15 maggio.
Su questo versante le società dell’AI sembrano riscontrare un appoggio quasi totale da parte della nuova amministrazione repubblicana. Lo si evince da una importante dichiarazione in tal senso rilasciata nella stessa sede dal senatore Ted Cruz in merito alle difficoltà che le regole imposte da Biden potrebbero causare alle aziende statunitensi: “L’errata regola di mezzanotte dell’amministrazione Biden sulla diffusione dell’intelligenza artificiale in relazione a chip e pesi dei modelli avrebbe paralizzato la capacità delle aziende tecnologiche americane di vendere l’intelligenza artificiale al mondo“.
La stoccata di Altman contro le regole europee
Le parole del CEO di OpenAI, erano particolarmente attese. Altman di fronte al Congresso ha sottolineato di aspettarsi che i progressi derivati dall’AI evolveranno in maniera particolare nei prossimi anni anche e soprattutto grazie all’innovazione statunitense, ma che per raggiungere gli obiettivi prefissati è altrettanto importante garantire degli investimenti in infrastrutture che sono “fondamentali“. Si tratta ad esempio di data center che ospitano più server o di centrali elettriche che alimentano i calcoli ad alta intensità energetica necessari per far funzionare l’AI.

"Così l'AI generativa sta cambiando i data center", la nostra intervista a Cosimo Verteramo | AI Talks #15
Dalle CPU siamo passati alle GPU e l'AI è sempre…
Una parte cruciale del suo discorso si è anche concentrata su una profonda critica alle normative europee (AI Act) e alla questione relativa al pre-approval, ovvero quel quadro giuridico europeo che prevede un’approvazione preliminare delle modalità di utilizzo e applicazione dell’AI da parte di un’autorità pubblica. Altman ha definito “disastrosa” l’ipotesi secondo cui gli Stati Uniti possano ritrovarsi a seguire il percorso di regolamentazione europea in termini di intelligenza artificiale. Perché, a suo avviso, una regolamentazione troppo severa in uno dei tre elementi fondamentali dell’infrastruttura complessa dell’intelligenza artificiale, ovvero calcolo, algoritmi e dati, è in grado di rallentare l’intero processo di sviluppo fino a far “crollare tutto“.
Secondo Altman, dovrebbe essere l’industria a “determinare quali standard adottare” e solo successivamente questi dovrebbero essere approvati da un ente governativo o statale. Solo in questa maniera è possibile che “l’America abbia la tecnologia che le persone vogliono usare di più e che viene più adottata” per poter continuare ad esercitare la propria influenza nel mondo.