Le provocazioni cinesi dell’AI ‘magica’: Pechino punta sulla narrazione della macchina pensante

Il colosso cinese si auto-conferisce un primato sull'AGI (senza nominarla mai) che somiglia tanto a un nuovo guanto di sfida agli USA

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Le provocazioni cinesi dell’AI ‘magica’: Pechino punta sulla narrazione della macchina pensante

Un gruppo di ricercatori cinesi rilancia l’ormai storico refrain secondo cui l’intelligenza artificiale starebbe cominciando a “pensare” come gli esseri umani.

Al netto della fragile veridicità scientifica, la ricerca è interessante da un punto di vista geopolitico.

Il confine tra scienza e magia

Secondo quanto riportato dal quotidiano cinese Global Times (tabloid ufficiale del Partito Comunista Cinese), un team di scienziati avrebbe dimostrato come alcuni modelli di intelligenza artificiale multimodale riuscirebbero a sviluppare rappresentazioni mentali degli oggetti in un modo che ricorda da vicino il funzionamento della mente umana.

Il team è formato da esperti provenienti da molte realtà diverse (l’Accademia Cinese delle Scienze, l’Institute of Automation e almeno quattro istituti diversi di neuroscienze). Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Nature Machine Intelligence, per quanto le conclusioni del team cinese abbiano poco di razionale e molto di ‘magico’.

Una scoperta “concettuale”

Il modello sperimentale cinese ha analizzato oltre 1.800 oggetti naturali, producendo rappresentazioni concettuali su 66 dimensioni semantiche, emerse attraverso milioni di “triplet judgments” — giudizi tripli in cui l’AI doveva scegliere quale dei tre elementi fosse più simile a un concetto dato.

Il risultato, secondo i ricercatori, è una mappa mentale che si avvicina alle strutture cognitive umane: categorie logiche, coerenza semantica, riconoscimento degli oggetti in modo astratto.

È una prova del fatto che l’intelligenza artificiale non è solo una macchina che ripete pattern” si legge tra le righe dell’annuncio. Ma si tratta di una comprensione autentica o dell’ennesima illusione ottica generata da una rete neurale ben addestrata?

Lo studio sostiene che i modelli non sono semplici “pappagalli stocastici — espressione resa celebre da un gruppo di linguisti e scienziati occidentali per criticare i limiti degli LLM. Al contrario, essi mostrerebbero una forma di comprensione concettuale indipendente, sebbene diversa da quella umana.

Il nuovo sensazionalismo cinese

A colpire non è tanto il contenuto della ricerca, ma il tempismo con cui viene pubblicata. Mentre gli Stati Uniti dominano il mercato delle big tech e guidano lo sviluppo dei modelli più avanzati (da OpenAI a Google DeepMind) la Cina risponde con una narrativa scientifica che punta sulla “profondità” cognitiva dei suoi sistemi. Pur senza senza dirlo esplicitamente, la Cina tenta di aggiudicarsi il primato (per auto conferimento) nella costruzione dell’AGI, l’intelligenza artificiale generale.

Seppur l’AGI sia un tema costantemente sotto i riflettori, le aziende americane sembrano meno ossessionate dal racconto dell’AI antropomorfa rispetto a pochi anni fa e sono oggi più concentrate sullo sviluppo di una tecnologia vendibile e dedicata agli utenti. La Cina dunque appare interessata ad approfittare di quest’evoluzione americana per impostare un’identità AI basata sul sensazionalismo.

Il messaggio sembra chiaro: dopo il lancio di Deepseek, la Cina ambisce a incarnare una nuova riflessione culturale, filosofica e tecnica sull’intelligenza artificiale del futuro che possa influenzare il mondo. Non è un caso che la notizia sia riportata da un media ufficiale come il Global Times, cassa di risonanza della politica estera cinese.

In attesa di verifiche indipendenti, la linea tra laboratorio e geopolitica è più sottile che mai.

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