Weekly AI è la nostra rassegna settimanale sulle notizie più rilevanti legate al mondo dell’intelligenza artificiale.
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L’elemento chiave della settimana, a ben vedere, non è tanto l’assist cinese, quanto l’assordante assenza europea che perdura di fronte a questo palleggio tra USA e Pechino, definitivamente passata a ‘personaggio giocante’. Ma andiamo con ordine.
Come si sottolineava nella scorsa edizione, la sfilata dei CEO del tech all’insediamento Trump era in fondo una provocazione rivolta alla Cina, che ha risposto per le rime in pochissime ore. L’uscita del modello DeepSeek R1, inizialmente passata relativamente in sordina, in un paio di giorni ha conquistato le cronache mondiali. L’azienda dello sconosciuto (fino a una settimana fa) Liang Wenfeng cambia le regole del gioco rilasciando un’intelligenza artificiale dalle performance altissime ma realizzata ad un prezzo tra le 20 e le 50 volte inferiore rispetto alle sue corrispettive americane.
Un esempio di altissima applicazione del paradosso di Jevons, secondo cui quando una tecnologia diventa più efficiente, il costo associato all’utilizzo di una risorsa si riduce, rendendola più accessibile e aumentandone così il consumo stesso. In fondo l’operazione cinese non è altro che una versione ‘per AI generativa’ dell’approccio cinese alla produzione industriale di massa, l’efficacissima ottimizzazione costi-efficienza con cui penetra da anni nel mercato occidentale. La democratizzazione dell’AI doveva passare soprattutto da uno shock simile per garantirsi la sostenibilità.
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La rapida diffusione del tool, subito tra i più scaricati negli store online in diversi Paesi del mondo, fa tremare la borsa USA del techcome non avveniva dalla minaccia bolla di agosto 2024. NVIDIA cade in picchiata rasentando il -18% e a cascata tutte le altre. Per qualche giorno la finanza AI trema talmente tanto che attira le attenzioni dei potenti della terra. Ancora più di prima, l’intelligenza artificiale diventa mainstream.
Ci sono alcuni ma. Secondo diversi pareri, i 6 milioni di dollari utilizzati per l’addestramento del modello ‘ragionante’ (simile a o1 di OpenAI) sarebbero in verità molti di più ma DeepSeek non lo direbbe. Alcuni rumor raccontano che DeepSeek avrebbe al suo arsenale decine di migliaia di microprocessori NVIDIA in più rispetto ai 2.000 chip H800 dichiarati. Il motivo della segretezza riguarderebbe soprattutto le modalità di ottenimento delle stesse, non proprio legali, considerati i divieti americani alla vendita. Uno scenario possibilissimo, in effetti della compravendita sottobanco di chip NVIDIA su suolo cinese si parla da molti mesi e ce ne occupammo anche noi in tempi non sospetti.
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DeepSeek è un chatbot non molto diverso da ChatGPT e affini, ma si attira immediatamente le critiche per una tendenza alla censura del regime di Pechino che lo caratterizza: dai fatti su Piazza Tienanmen alle controversie cinesi legate della pandemia, sono vari gli argomenti su cui, almeno inizialmente, si rifiuta di rispondere. Mentre il mondo scopre con curiosità la nuova creatura cinese, si moltiplicano le voci che lo inquadrano come un cavallo di troia per la profilazione dei dati occidentali, le stesse critiche già rivolte a TikTok.
In Italia il Garante della Privacy chiede dapprima trasparenza poi, forse complice anche la notizia dell’esistenza di un database contenente dati personali trafugati dal server, blocca di netto il servizio. Sembra di rivivere l’epopea di ChatGPT all’inizio dell’approdo europeo.

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I competitor invece paiono piuttosto galvanizzati dall’affondo cinese, evidentemente pronti al rialzo dell’asticella. NVIDIA, da noi stessi interpellata, definisce DeepSeek “Un eccellente avanzamento dell’AI e un perfetto esempio di test-time scaling”. Da Apple, Tim Cook loda l’operazione definendola “Un’innovazione che guida l’efficienza“.
Anche Sam Altman inizialmente si congratula con DeepSeek, tuttavia cambia rotta in poco tempo. OpenAI e Microsoft accusano infatti la company di aver plagiato il suo sistema di addestramento, in una pratica detta ‘distillazione’. Può essere che vi sia del vero, tuttavia il mondo non riesce a prendere sul serio Altman (uno che ha fatto dell’appropriazione indebita dei dati altrui il proprio core-business) quando parla di plagio del proprio prodotto.
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Il terremoto DeepSeek sembra accendere qualche strana frenesia, tanto da lasciar sospettare una sorta di parziale coordinamento su larga scala che coinvolge un poco anche l’Europa.
Anche la cinese Alibaba alza la testa e svela al mondo la sua Qwen 2.5-Max, presentandola come un’AI che batterebbe ‘addirittura’ DeepSeek (un benchmark paradossale considerato che fino al giorno precedente era inesistente). La stessa DeepSeek rincara subito la dose e lancia anche il modello multimodale Janus Pro-7B, che genera immagini.
In generale se la Cina doveva rispondere ai primi atti dell’America trumpiana, l’ha fatto nel modo giusto.
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Pur figurando al solito come un giocatore che non riesce a intercettare la palla, l’Europa apre ad alcune possibilità.
Insospettabilmente arrivano segnali di vita dall’Italia, quando a Roma Almawave presenta Velvet, nuova famiglia di modelli di intelligenza artificiale generativa testuale sviluppati interamente nel nostro Paese e addestrati (come già le AI di iGenius) sul supercalcolatore Leonardo del consorzio Cineca.
E giungono anche movimenti dalla Francia. Prima una gaffe, con il lancio e la disattivazione nel tempo record di due giorni dell’AI Lucie, sviluppata dal consorzio Linagora e sostenuta dal governo francese. Il modello ha dato a decine di utenti risposte assurde o illogiche: ha sostenuto ad esempio che 5 x 5 fa 17 o che ‘la radice quadrata di una capra è uno’.
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A tentare di risollevare lo scivolone francese ci prova poi Mistral, da molti considerata l’unica AI europea orientata verso la giusta strada per la competizione con gli USA. L’azienda lancia Small 3, presentato come il suo modello più efficiente e versatile di sempre, paragonabile a GPT-4o mini. Sono germogli di fronte alle foreste americane, ma perlomeno qualcosa avviene.
Molto interessante è quello che avviene in chiusura di settimana. Mentre Altman punta il dito sull’innovazione cinese, stringe accordi epocali con ’l’altro oriente’: la giapponese Soft Bank sarebbe pronta a investire 25 miliardi di dollari in OpenAI, per investimento ‘diretto’ una cifra addirittura maggiore di quella di Microsoft. Una mossa potenzialmente incredibile, orientata evidentemente a riorientare gli equilibri USA-Oriente del tech per contenere l’aggressività cinese. L’ennesimo sviluppo rilevante che, però, non sembra prevedere un ruolo per l’Europa.
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