La scoperta del Wall Street Journal risale al 2019, ma l’inganno perpetrato dalla startup inglese AI Builder.ai è stato mantenuto vivo per altri sei anni. Almeno fino al 20 maggio 2025, il giorno in cui l’azienda ha ufficialmente dichiarato bancarotta dopo aver illuso diversi investitori per anni.
L’AI Natasha di Builder.ai
Le aspettative che riguardavano Natasha, la mascotte digitale di Builder.ai, erano tante. Ma soprattutto erano legate alla promessa e all’obiettivo promosso dall’azienda, ovvero quello di portare una vera e propria rivoluzione nel settore tecnologico realizzando uno sviluppo di software molto avanzato e in grado di svolgere qualsiasi azione al posto dell’essere umano. Il tutto per fare meno e con meno fatica.
Le promesse erano apparentemente così interessanti che in breve tempo l’azienda è riuscita a raccogliere 450 milioni di dollari grazie ad accordi con investitori importanti come Microsoft, SoftBank e il Qatar Investment Authority fino ad arrivare ad una valutazione maggiore di un miliardo e mezzo di dollari.
La scoperta della truffa
Tutto nacque da un’idea del programmatore Sachin Dev Duggal, quello che molti definirebbero un genio precoce della tecnologia. Duggal ebbe un’intuizione non da poco, cercando di combinare componenti di codice modulari con sviluppatori umani, il tutto coordinato dall’intelligenza artificiale.
Un enorme trucco di marketing più che una rivoluzione tecnologica. Potrebbe essere definito così il progetto fallimentare portato avanti in questi anni dall’azienda. Perché dietro all’apparente struttura avanzata di intelligenza artificiale c’era in realtà un gruppo di ingegneri che svolgeva tutto il lavoro in maniera manuale e zero apparati di intelligenza artificiale in funzione come descritto.
Col tempo è arrivato però il primo passo falso. L’investitore Viola Credit si è infatti accorto dei dati discutibili sul bilancio condivisi dall’azienda, con ricavi gonfiati del 300%. Il tutto ha portato alla scoperta dell’impianto su cui si basava il progetto, ovvero una truffa tenuta in vita da programmatori pagati miseramente, con soldi spesi in investimenti fallimentari bruciando ad esempio 40 milioni di dollari al trimestre in operazioni di marketing.
Un esempio di “AI Washing”
L’azienda inglese oggi ha debiti di 85 milioni di dollari con Amazon e di 30 milioni con Microsoft e l’azione messa in atto sotto la regia di Duggal può essere definita come un esempio di “AI Washing“. Si tratta di una pratica che è diventata molto comune recentemente, che consiste nel spacciare tecnologie tradizionali per intelligenza artificiale. Una modalità che le startup di AI potrebbero mettere in pratica sempre di più in futuro per ricevere finanziamenti e attrarre investimenti da parte di colossi del tech.
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