Migliaia di conversazioni private fra utenti e il chatbot di OpenAI ChatGPT sono finite su Google e altri motori di ricerca dopo essere state indicizzate a causa di una funzione introdotta da ChatGPT per la condivisione delle chat. Un caso che sta facendo discutere non poco gli osservatori del mondo digitale e tecnologico a causa di possibili violazioni della privacy e per il contenuto sensibile di alcune conversazioni rese pubbliche.
Cos’è accaduto
Di norma, ogni interazione fra un utente e ChatGPT è privata ed è destinata a rimanere tale. L’unico utilizzo che l’azienda può fare di queste conversazioni è finalizzato, con la possibilità per l’utente di revocare il consenso, all’addestramento dei modelli dell’azienda. Esiste però una funzione, disponibile da maggio 2023, che permette agli utenti di condividere le proprie conversazioni (Shared Links) attraverso la generazione di un link al quale può accedere chiunque ne entri in possesso, ed è da qui che si è originato il disguido di cui si è parlato tanto negli ultimi giorni.
Oltre 4.500 conversazioni, anche contenenti informazioni di carattere privato, sono state rese pubbliche e talvolta indicizzate da alcuni motori di ricerca quando l’utente dava il consenso all’indicizzazione (per indicizzazione si intende l’inserimento di un sito web o un blog nel database di un motore di ricerca). Anche se ChatGPT non condivide mai dati sensibili degli utenti, è senz’altro possibile, come segnalato da analisti e osservatori, che vi siano delle informazioni private all’interno delle conversazioni grazie alle quali si può risalire all’identità di chi le ha intrattenute.
L’intervento di OpenAI
Il caso ha sollevato reazioni parecchio intense portando a preoccupazioni generalizzate sulla privacy e sulla governance interna di ChatGPT che si sono diffuse rapidamente su diversi social. Molti utenti e osservatori hanno inoltre sottolineato che il design dell’interfaccia utente dava uno spazio insufficiente e poco chiaro alla casella che fornisce l’effettiva garanzia di proteggere le proprie conversazioni da eventuali indicizzazioni.
In risposta all’episodio, OpenAI ha subito rimosso la funzione di indicizzazione definendo quanto accaduto come un “esperimento di breve durata” che, secondo il CISO dell’azienda Dane Stuckey, “ha introdotto troppe opportunità di condivisione accidentale”.
Oltre a questo, OpenAI si è anche dovuta preoccupare di provare a rimuovere i link già indicizzati presenti sui motori di ricerca. L’azienda ha iniziato a collaborare con Google e altri motori di ricerca per cancellare le conversazioni, ma ci sono comunque tracce delle chat che sono rimaste sul web e sono tuttora consultabili. Alcuni contenuti possono infatti persistere nella cache dei motori di ricerca, mentre in altri casi le conversazioni possono anche rimanere consultabili su noti archivi digitali come Internet Archive.
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