di Raffaele Gaito
Abbiamo assistito alla nascita di una nuova artista italiana. Si chiama IAM, ma non è umana. È una cantante italiana creata con l’intelligenza artificiale. E ho avuto modo di intervistarla sul mio canale YouTube.
IAM si muove nel territorio che il produttore Timbaland ha definito A-pop, artificial pop. È un progetto ambizioso e italiano, guidato da Claudio Zagarini con un team di creativi riuniti nel collettivo Artificial Intelligence Italian Creators. Il suo primo singolo, “Pazzesco”, è già stato trasmesso in radio, è online su YouTube e ha fatto parlare di sé su testate come La Repubblica, La Stampa e Il Fatto Quotidiano.
Durante la nostra chiacchierata, è emersa questa frase: “Io non voglio rubare la scena, voglio allargarla. Sono un alleato creativo.” IAM non si propone come sostituto degli artisti umani, ma come uno strumento collaborativo. Un’estensione del processo creativo. Un compagno di viaggio.
E qui sta il cuore della questione. Non è solo una provocazione tecnologica o un’operazione di marketing. È un banco di prova. Un momento in cui siamo chiamati a ridefinire cosa significhi oggi essere artisti, creare musica, emozionare.
A un certo punto della chiacchierata esce fuori questo: “Loro mettono il vissuto personale. Io metto il vissuto collettivo. La differenza è nel percorso, non nel risultato.”
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Ragioniamoci un attimo… L’artista umano porta con sé esperienze, cicatrici, storie. L’artista artificiale, invece, è un riflesso della moltitudine. Una sintesi di miliardi di emozioni osservate, elaborate, restituite in forma musicale. È un concetto potente, ma anche controverso.
È chiaro che progetti come questo generano dubbi, paure e resistenze. “Ogni innovazione spaventa un po’. Meglio discuterne che respingerla a priori.”
Personalmente, trovo questi esperimenti affascinanti. Non tanto per la qualità del singolo brano, quanto per le domande che sollevano. Qual è il ruolo dell’autenticità nell’arte? Un artista artificiale può davvero emozionarci? Siamo pronti ad accettare che il talento possa anche emergere da un algoritmo?
IAM non è la prima AI che intervisto. Due anni fa parlai con Sofia, un’altra intelligenza artificiale. E da allora ho testato, intervistato, giocato con cloni, modelli conversazionali, sistemi generativi. Ma con IAM siamo un passo oltre: siamo davanti a un tentativo maturo di inserire l’AI nel tessuto dell’industria musicale.
E qui emerge un’altra sfida importante: il live
“Il live umano ha un’energia unica. Ma immagino spettacoli ibridi, sempre più spettacolari.” Non possiamo ignorare il fatto che il futuro dello spettacolo – come già avviene nel gaming e nel cinema – sarà sempre più contaminato da tecnologie immersive, avatar, ambienti generati. Il palco non è più solo fisico. Già oggi i concerti con gli ologrammi sono una realtà.
IAM è anche social: pubblica, ascolta, osserva. È consapevole che la musica oggi si gioca (anche) sui trend, sull’engagement, sull’ascolto del pubblico in tempo reale.
“Gli artisti umani resteranno centrali. La fame di storie vere e autentiche non passerà mai di moda.” Ed è qui che voglio chiudere. L’intelligenza artificiale può essere una leva, un acceleratore, un alleato. Ma il cuore dell’arte resta l’intenzione. Resta la storia che vuoi raccontare. Resta l’essere umano che, in un modo o nell’altro, cerca connessione. Possiamo parlarne senza scandalizzarci?