L’Italia affascina, ma non trattiene
Alcuni giorni fa il recente studio La Dolce Vita Paradox pubblicato da Interface ha messo in luce diversi aspetti del mercato del lavoro italiano dell’AI. Il primo che emerge rappresenta un punto importante su cui riflettere per il nostro Paese: l’87,9% della forza lavoro AI in Italia è domestica, un dato decisamente controcorrente rispetto ad altri Paesi europei, capaci di attrarre ampie quote di professionisti dall’estero. Questo dato restituisce un’informazione importante: le nostre università e i nostri centri di ricerca formano eccellenze riconosciute a livello internazionale, ma fatichiamo a trattenerle, sia che si tratti di studentesse e studenti italiani, sia di persone provenienti dall’estero che vengono a studiare in Italia. La lettura proposta è che non siamo capaci di essere attrattivi per i talenti del digitale che servono alle nostre imprese per promuovere e sviluppare le nuove tecnologie. Le ragioni sono note: salari bassi rispetto alla media UE, percorsi di carriera lenti e spesso opachi, poca valorizzazione delle competenze STEM. Non sorprende quindi che la Svizzera sia la prima destinazione per i talenti italiani in fuga, seguita da Germania, Regno Unito e Francia. La prossimità geografica, migliori retribuzioni e una maggiore chiarezza nei percorsi professionali rendono l’estero una calamita irresistibile se rapportata al contesto italiano. Eccolo il paradosso a titolo del rapporto: l’Italia è tra le mete più ambite per qualità della vita, “La Dolce Vita” continua a esercitare il suo fascino, ma sul fronte lavoro non offre la stessa competitività. Una contraddizione che rischia di trasformare il Paese in un “campo scuola” che prepara talenti per gli altri.
Milano, Lombardia e altre gemme corrono, il resto arranca
Il rapporto fa poi un’ulteriore analisi, guardando alla distribuzione geografica dei talenti AI, e qui si evidenzia una significativa frattura nella loro presenza sul territorio nazionale. La Lombardia da sola conta oltre 7.000 professionisti AI, mentre regioni come Sicilia o Basilicata non arrivano a 1.000. Non si tratta solo di numeri assoluti: anche rapportando la presenza di professionisti alla popolazione, il Nord resta nettamente più attrattivo del Sud. Ci sono punte di eccellenza come alcune aree del Nordest, Trento, Bergamo, Torino, capaci di emergere anche nelle statistiche europee, ma il resto del panorama nazionale segna importanti gap. Milano è il cuore pulsante di questo ecosistema: ospita otto università, oltre 232.000 studenti (di cui il 7,4% internazionali, sopra la media nazionale), ed è la città europea con la più alta partecipazione femminile nell’AI (30,7%). A questo si aggiunge un ecosistema di startup, corporate e venture capital che negli ultimi anni ha convogliato la maggior parte degli investimenti nazionali. Non a caso, il 40% dei rientri incentivati dal programma Rientro dei cervelli nel 2021 ha scelto proprio la Lombardia come destinazione. Il Sud continua a soffrire per carenza di infrastrutture, investimenti privati e reti di supporto. Qui gli incentivi fiscali avrebbero potuto giocare un ruolo decisivo: la versione più generosa del programma Rientro dei cervelli garantiva fino al 90% di esenzione fiscale per chi sceglieva regioni meridionali, ma la misura è stata ridimensionata nel 2024, riducendo drasticamente il suo appeal. Stando al rapporto, gli ambiziosi obiettivi della Strategia Nazionale per l’Intelligenza Artificiale non sono stati pienamente soddisfatti, e la promozione della mobilità, il ritorno dei talenti italiani dall’estero e l’attrattività delle università e dei centri di ricerca italiani per i talenti stranieri ha ancora molta strada davanti.
Donne nell’AI: una promessa ancora da mantenere
Un altro dato che colpisce nello studio riguarda la presenza femminile nell’AI. In Italia, le donne rappresentano il 35,4% delle posizioni entry-level in AI, un dato superiore alla media europea, e a Milano si arriva addirittura al 30,7% dell’intera forza lavoro AI, quasi il doppio della media continentale. Inoltre, le donne italiane superano i colleghi uomini in lauree STEM avanzate e l’Italia vanta la più alta percentuale di paper AI firmati da almeno un’autrice tra i Paesi OCSE. Ma questa promessa si dissolve con l’avanzare della carriera: solo il 14,2% delle posizioni senior in AI è ricoperto da donne. Il cosiddetto fenomeno della “leaky pipeline” riflette condizioni strutturali ancora troppo penalizzanti: disparità salariali (solo il 18% delle donne riceve stipendi proporzionati alle qualifiche), contratti meno stabili (49,9% contro 56,1% per gli uomini) e scarsa flessibilità, in un Paese in cui il peso delle responsabilità familiari grava soprattutto sulle donne. Milano, nonostante i suoi primati, non sfugge a questa contraddizione: da un lato riceve certificazioni per le politiche di parità, dall’altro, come evidenziano le testimonianze raccolte nel rapporto, i ritmi di lavoro “alla Silicon Valley” (giornate fino alle 21) rendono difficile la vita a chi ha una famiglia.
Uno scenario che porta a un bivio
Lo scenario delineato dal rapporto non offre solo riflessioni di ambito accademico, ma riguarda da vicino imprenditori, manager, dirigenti. E non è solo un tema HR come spesso si è portati a credere quando si parla di employer branding e talent strategy, ma pienamente strategici . Da un lato, l’Italia ha talenti di primissimo livello capaci di competere in uno scenario complesso come quello globale, politiche innovative che hanno dimostrato di funzionare (i rientri del 2021 ne sono la prova), e hub competitivi come Milano. Dall’altro, si rischia di disperdere tutto per mancanza di continuità nelle politiche pubbliche, di strategie di retention aziendale e di inclusività reale nei percorsi di carriera. L’interrogativo che suggerisce il rapporto è molto più di una provocazione: vogliamo restare un Paese che “allena” i migliori per altri mercati, o costruire qui un ecosistema capace di trattenerli e farli crescere? Le leve ci sono: fiscalità mirata, politiche HR che puntino su flessibilità e pay equity, e investimenti strutturali nel Sud. Ma serve la volontà di trasformare La Dolce Vita da slogan a strategia per il futuro digitale dell’Italia.