Weekly AI è la rassegna settimanale di AI news sulle notizie più rilevanti legate al mondo dell’intelligenza artificiale.
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Questa settimana seguire gli spostamenti di Jensen Huang significa fare una sintetica immersione negli equilibri geopolitici. Il CEO di Nvidia si trasforma in atipico diplomatico, prima incontrando Donald Trump poi imbarcandosi in un viaggio verso l’Expo della Supply Chain in Cina, dove rilascia dichiarazioni di vicinanza e distensione.
In un momento di sanzioni, dazi, guerre reali e commerciali, Nvidia si fa dunque ponte tra superpotenze, dettando sì legge sulle microarchitetture che alimentano l’intelligenza artificiale globale ma aprendo porte a opportunismi virtuosi.
Gli sforzi di Huang non bastano: l’amministrazione USA allenta le restrizioni sul chip H20 e per un attimo pare che nonostante gli attriti, l’ecosistema tech voglia respirare anche attraverso Pechino. Tuttavia di lì a breve Trump blocca l’accordo sui chip da 4,5 miliardi di dollari annui siglato fra Stati Uniti ed Emirati Arabi Uniti proprio per paura di contrabbandi sottobanco in Cina.
Il tycoon mira a trasformare l’AI in un’arma di investimento da 70 miliardi di dollari, in una corsa che non è solo economica, ma una questione di supremazia strategica. Dietro le quinte, le grandi società (da Alphabet a xAI) si spartiscono contratti multimilionari con il Pentagono, creando un esercito di algoritmi al servizio della sicurezza nazionale.
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Il panorama commerciale è in subbuglio. OpenAI ritarda la pubblicazione del suo primo modello aperto e continua a perdere elementi preziosi rubati da Meta, regina dei social che fa incetta di talenti come fosse una guerra di trincea.
Ma al tempo stesso (mentre da un articolo di Calvin French-Owen emergono dettagli inediti sull’organizzazione aziendale) l’azienda di ChatGPT si dedica a grandi lanci. Prende corpo il nuovo piano per allargare il modello di business oltre agli abbonamenti, ossia l’integrazione di un sistema di pagamento interno a ChatGPT. E soprattutto viene lanciato il nuovo ChatGPT agentico, atteso modello che alza l’asticella del trend.
In risposta Zuckerberg preme sull’acceleratore sempre più, compra la startup di intelligenza artificiale vocale Play AI e soprattutto spinge sulla potenza di calcolo. Tanto che per la fretta piazza i nuovi data center all’interno di tende, mentre progetta una specie di grande città di server, cuore energetico del suo nuovo rilancio mondiale mentre patteggia con gli azionisti per gli strascichi di Cambridge Analytica.
Tutto ciò che Meta tocca viene travolto dalla sua urgenza commerciale: dopo l’investimento di 14 miliardi di dollari da parte di Zuckerberg, Scale AI deve licenziare il 14% della sua forza lavoro, virando su un nuovo modello di business (in buona compagnia: anche Indeed e Glassdoor annunciano tagli per 1300 posti di lavoro a causa dell’AI).
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Sul fronte della sicurezza tutto cambia a seconda del punto di osservazione. Una serie di ricercatori tra cui membri di OpenAI e Anthropic accusano xAI di “sconsideratezza”: Grok 4 sarebbe stato lanciato senza la pubblicazione di un report tecnico. Musk non si fa influenzare e anzi attraverso SpaceX piazza 2 miliardi su xAI, per rafforzare il suo alveare di aziende connesse.
Eppure qualcun altro allarga accuse che non risparmiano nessuno: secondo un rapporto del Future of Life Institute, tutte le aziende AI (anche gli accusanti di Grok) prendono sottogamba i rischi dell’AGI.
Nel mezzo delle polemiche prosegue la scalata dei dominatori di domani, come Thinking Machines Lab di Mira Murati, che giunge a valere ben 12 miliardi di dollari, ancora senza prodotti in mano né strategie dichiarate.
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Mentre continuano a rafforzarsi le aziende americane, l’Europa prosegue una riscossa iniziata già da diverse settimane. La Germania dichiara ambizioni altisonanti, come basare il 10% del PIL sull’AI entro il 2030. Oracle stanzia 3 miliardi in infrastrutture per assicurarsi un posto al tavolo tedesco e anche nei Paesi Bassi. In Francia Mistral AI affila i coltelli aggiungendo nuove funzionalità competitive a Le Chat.
Vicino ai conflitti che infiammano il nostro tempo, invece, l’AI tocca i nervi scoperti delle debolezze democratiche della Turchia, con Grok che viene bloccato per insulti a Erdogan.
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Mentre l’AI tenta di riscrivere l’economia e inizia a riscrivere la politica, si prepara sempre più a riscrivere l’identità. La fotografia dell’ultima settimana fornisce una panoramica impressionante in tal senso.
Emerge come sempre più minori si rivolgano a chatbot per colmare vuoti di solitudine, mentre uno studio evidenzia i rischi dell’uso di chatbot AI a fini terapeutici.
Intanto cresce la frontiera distopica dell’afterlife artificiale, dove l’AI promette di resuscitare ricordi e personalità perdute, trasformando la vita dopo la morte in un’illusione digitale.
Infine, l’AI modifica il volto della cultura pop e del business mediatico. Emerge il fenomeno dell’artificial pop (qui in alto Raffaele Gaito, che ha scritto per noi una riflessione a riguardo, intervista l’artista virtuale IAM), Netflix accoglie l’AI nelle produzioni e crescono i dibattiti attorno agli artisti musicali virtuali nelle piattaforme streaming. Anche lo sport si prepara a un’era di innovazione da 60 miliardi entro il 2034.
Le preoccupazioni relative ai furti di dati per i modelli creativi sono più attuali che mai (l’ultima storia indicativa e inquietante giunge da WeTransfer). In questo scenario, prende sempre più forma un movimento in rapida ascesa: quello delle aziende impegnate nell’AI etica ad alte prestazioni. Dopo i recenti studi, l’ultimo esempio proviene dalla startup Moonvalley, che sfida i giganti del settore utilizzando materiale di pubblico dominio (senza rubare dati) per realizzare video AI di altissima qualità.