Dopo 118 giorni lo sciopero di Hollywood è ufficialmente terminato. A settembre gli sceneggiatori avevano già interrotto la vertenza e ieri è stato è il turno degli attori, che hanno stretto un accordo con produzioni e studios e sono riusciti a ottenere una regolamentazione vantaggiosa per l’utilizzo della tecnologia AI.
La vittoria rappresenta solo una fase di passaggio nell’integrazione dell’intelligenza artificiale generativa con l’industria dell’intrattenimento ma crea un precedente importante, anche per la vita di tutti noi.
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Gli accordi: mai più volti ceduti senza retribuzione
Le paure legate alla riproduzione incontrollata dei volti e delle immagini degli attori era tra i temi caldi del movimento sindacale. L’urgenza risiedeva più in generale nell’affrontare i rischi della cessione dei dati biometrici degli artisti, garantendo il riconoscimento del loro valore economico. A Hollywood sia interpreti affermati solitamente selezionati nei ruoli da protagonisti che comparse hanno incrociato le braccia non appena hanno intravisto la possibilità che gli studios arrivassero a produrre materiale attraverso l’uso non autorizzato di immagini umane.
Dopo diversi mesi gli attori hanno ottenuto che per ogni utilizzo della loro immagine (o dettagli di essa) riprodotto tramite AI, le produzioni dovranno presentare loro un documento di consenso che specifichi esattamente in quali scene e in che modo l’immagine verrà utilizzata. Le clausole cambiano leggermente nel caso in cui l’immagine dell’attore sia creata ex novo o basata su materiale di archivio ma l’elemento fondamentale è che le produzioni non potranno in alcun modo aggirare il riconoscimento di un indennizzo economico a fronte dell’utilizzo. La retribuzione (che gli artisti avranno la possibilità di contrattare) dovrà includere anche i contributi pensionistici o relativi all’assistenza sanitaria.
Il paradosso delle nuove clausole economiche
Se le repliche digitali saranno utilizzate per ruoli rilevanti, gli attori saranno pagati sia per il tempo da loro messo eventualmente a disposizione per la creazione degli avatar sia per le performance digitali (dunque mai realmente svolte dagli attori). In sostanza, se le produzioni hollywoodiane avevano intravisto nell’avvento dell’AI un modo comodo per pagare meno gli artisti pur sfruttandone l’immagine, dovranno ricredersi: a fronte delle vittorie sindacali, viene quasi da pensare che per gli studios converrà di più proseguire a realizzare opere alla vecchia maniera.
La presidente del sindacato Fran Drescher (nota in Italia per il suo ruolo da protagonista nella sitcom La Tata) ha dichiarato: “Si afferma il principio del consenso un caso alla volta ed è un risultato gigantesco per noi”.
Risultato storico… ma temporaneo?
Gli operatori del mercato cinematografico di Hollywood hanno certamente lottato per un risultato storico. Ma non è tutto oro quel che luccica. C’è chi sostiene che, nonostante il nuovo equilibrio possa tamponare efficacemente l’erosione dei diritti degli attori, presto si rivelerà di nuovo inadeguato. Di certo questi accordi sindacali hanno un sapore un po’ d’altri tempi. L’AI generativa viaggia a livelli vertiginosi e sposterà l’industria dell’intrattenimento dall’approccio novecentesco di regia, performance o interpretazione a qualcosa di totalmente nuovo.
Il cinema come lo conosciamo subirà evoluzioni talmente rivoluzionarie da non avere forse più bisogno nemmeno di attori, perlomeno nella stessa modalità che intendiamo noi. In più, un po’ come già avvenuto negli ultimi vent’anni nell’industria musicale, la democratizzazione del cinema (di cui le piattaforme dello streaming sono la punta dell’iceberg) non può che frammentarne, a tendere, gli introiti. I risultati ottenuti in questi accordi partono dal presupposto che gli attori possano rivendicare pretese professionali nei confronti di apparati costruiti attorno al diritto d’autore. Ma cosa accadrà quando gli abbonamenti a 6 euro al mese di Netflix e affini non permetteranno più di sostentare l’esistenza stessa del diritto d’autore?
Un precedente per la tutela dei dati?
Nonostante le sua possibile fragilità, il risultato ottenuto dai sindacati hollywoodiani ha il grande merito di dimostrare che forme di regolamentazione dell’utilizzo dei dati biometrici sono possibili.
Le persone dovranno dedicarsi con sempre maggiore attenzione alla protezione di dati personali, che rischiano di essere inglobati e riutilizzati a piacimento nell’ecosistema AI. L’uso dell’intelligenza artificiale nel cinema può ispirare l’applicazione di nuovi paradigmi normativi anche nelle vite dei comuni cittadini.
Forse, indipendentemente dalla sua efficacia sul lungo percorso, l’esempio hollywoodiano può arricchire un dibattito sano attorno alla tutela dei dati biometrici.