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Quando è una macchina a scrivere regole di risorse umane… e altre notizie | Weekly AI #106

Quando è una macchina a scrivere regole di risorse umane… e altre notizie | Weekly AI #106

Weekly AI news è la rassegna stampa settimanale curata dai nostri editor sui temi più rilevanti legati al mondo dell’intelligenza artificiale

Un’azienda di New York ha interpellato la società di consulenza HR Humani per risolvere un caso di molestie sul posto di lavoro. Humani ha chiesto per prima cosa alla cliente una copia del suo manuale del dipendente. Il manuale esisteva solo che era scritto da ChatGPT, che aveva omesso completamente ogni politica anti-molestie. In un’altra azienda californiana da 200 dipendenti, a fronte di un picco di lavoro è emerso che il manuale scritto da un chatbot aveva la sezione sugli straordinari completamente vuota. I casi di manuali aziendali lacunosi scritti dalle AI sono sempre più frequenti, soprattutto in USA e in UK. I risultati sono clausole mancanti, linee guida pasticciate o termini di congedo inesistenti. Spesso nessuno se ne accorge se non quando è troppo tardi e la tendenza sta dando parecchio lavoro agli avvocati.

L’ultima settimana ha dato un significato ad un lungo periodo di insolita calma piatta sul piano delle proposte commerciali. L’apparente stasi altro non era che una rincorsa in vista di un testa a testa. Prima OpenAI poi Google hanno sfoderato le proprie armi migliori per una sfida il cui vincitore è difficile da decretare.

L’azienda di Sam Altman, durante lo “Spring Update” di San Francisco (piazzato furbescamente subito prima del Keynote annuale di Google), lancia GPT-4o, nuova versione del suo modello caratterizzata da prestazioni enormi e da una multimodalità talmente impressionante da imitare quasi una conversazione reale. Ora il chatbot vede, comprende la realtà e parla con una disinvoltura che ha dello sbalorditivo. E il nuovo potenziamento sarà disponibile gratuitamente.

Google rilancia a distanza di poche ore con una serie di funzioni molto interessanti che comprendono inoltre un tool molto simile a quello del competitor di nome Project Astra. Ma soprattutto Google lancia una specie di rivoluzione copernicana dell’AI: abbina Gemini al suo motore di ricerca. L’idea è evidentemente quella di portare l’intelligenza artificiale alle grandi masse di utenti ancora distratti o poco interessati. Forse, a livello di impatto di massa, la mossa sancirà storicamente un prima e un dopo. Non tutti sono felici: gli editori temono effetti devastanti sul settore già prostrato del giornalismo.

A proposito di giornalismo, a eco delle innovazioni delle big tech, rimbalzano in tutto il mondo i titoloni del New York Times sull’associazione tra il film Her e le nuove funzioni generative. Sundar Pichai rincara, suggerendo di prepararsi alla prospettiva che qualcuno si innamori dell’AI. Solo titoli di giornali o qualcosa su cui riflettere?

Google comunque mette orgogliosamente la firma anche su contributi strettamente scientifici. Un team di ricercatori dell’azienda in collaborazione con l’Università di Harvard realizza una straordinaria ricostruzione 3D della struttura del cervello umano. Più amaro è l’epilogo dei trionfi settimanali per OpenAI: a sorpresa il co-fondatore Ilya Sutskever lascia per inseguire altri progetti di vita. Nonostante i noti scricchiolii interni in OpenAI dello scorso novembre, a giudicare dai messaggi pieni di gratitudine di compagni come Altman e Brockman, non sembra esserci traccia di attriti. Per fortuna che il clima sembra sereno dentro OpenAI, perché i suoi portavoce continuano a fare gaffe pubbliche. Dopo Mira Murati due mesi fa, anche il direttore operativo Brad Lightcap non risponde ad una domanda di Bloomberg sugli addestramenti con i contenuti di YouTube.

Ma non solo Google e OpenAI fanno parlare di sé. Anthropic annuncia infatti lo sbarco in Europa della sua Claude, da molti considerata ancora più performante di GPT-4. In molti la usavano già aggirando i blocchi sulla territorialità, ma è un obiettivo importantissimo per l’AI ‘etica’ dei fratelli Amodei.

Al di là della superficie ottimistica, il mondo delle big tech ribolle di agitazione causata dal clima di profondissima tensione geopolitica che si propaga in tutto il mondo, tanto che Microsoft suggerisce a centinaia di dipendenti in Cina della divisione cloud e AI di considerare il trasferimento all’estero. D’altronde, indipendentemente dagli attriti tra USA e Pechino, lo sviluppo AI della Cina sembra un mercato piuttosto strano dove operare. Lo testimonia il sempre più fiorente mercato dei cloni AI di parenti deceduti a prezzi stracciati. I clienti del servizio sono già migliaia e ci si domanda quando prenderà piede negli USA.

In mezzo a tanti sviluppi, in Italia non avviene granché. Anzi. L’ultimo rapporto annuale dell’Istat racconta che solo il 5% delle aziende italiane utilizza le nuove tecnologie. Al netto degli sforzi di pochi operatori e dell’interesse della politica, l’Italia si posiziona tra gli ultimi in Europa sull’uso dell’intelligenza artificiale. Forse dipende anche da uno scetticismo che proviene dal basso: un ulteriore studio di YouTrend rileva che il 61% degli italiani non si ritiene pronto all’arrivo dell’intelligenza artificiale. Perlomeno, ancora per un po’, i manuali aziendali continueremo a scriverli da noi.



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