Weekly AI news è la rassegna stampa settimanale curata dai nostri editor sui temi più rilevanti legati al mondo dell’intelligenza artificiale.
Una delle questioni più controverse attorno all’intelligenza artificiale è la sua impressionante necessità energetica. Gli studi sono spesso catastrofisti: a breve la quantità di energia richiesta per il funzionamento su larga scala dell’AI sarà difficilmente gestibile dal punto di vista ecologico. Ecco perché OpenAI ha deciso di assicurarsi la fornitura di un tipo di tecnologia nucleare… che ancora non esiste. Altman ha stretto infatti accordi con la società di energia nucleare Helion, che da 11 anni progetta sistemi di fusione, la cui realizzazione è ancora solo teorica. Insomma, l’idea migliore di Altman per risolvere i problemi energetici è investire sull’idea che prima o poi si possano risolvere.
Proprio mentre Luciano Floridi dichiara che l’Italia è in alto mare con gli investimenti sull’intelligenza artificiale, la startup milanese iGenius lancia la sua AI “Italia”, la prima addestrata nella nostra lingua e realizzata in collaborazione con Cineca e Leonardo.
Il modello si pone come qualcosa che aprirà una rivoluzione italiana. Proprio poche ore prima del lancio, Fincantieri annuncia un accordo proprio con iGenius per lo sviluppo di soluzioni AI applicate al settore navale. La startup, con le sue strette connessioni istituzionali, è fattualmente già molto diversa dalle equivalenti americane. E forse non è una cattiva strada, considerato che le società statunitensi si trovano ogni giorno immerse nelle polemiche.
L’ultima riguarda una lettera aperta che ricercatori e dipendenti attuali ed ex di OpenAI, Anthropic e Google DeepMind, alcuni in forma anonima, hanno sottoscritto per sottolineare con forza le crepe nella sicurezza dell’AI. La lettera accusa le grandi compagnie di non investire sulla sicurezza per sole logiche di profitto. I firmatari richiedono l’intervento dei governi per richiedere trasparenza dal momento che, denunciano, non possono raccontare le storture in prima persona a causa di vincoli di riservatezza e paura di estorsioni. L’appello è firmato anche da padrini dell’AI come Yoshua Bengio e Geoffrey Hinton.
L’allarme è più che giustificato anche considerato che, secondo un sondaggio dell’Università di Oxford e del Reuters Institute condotto su 12.000 partecipanti in sei Paesi, la maggior parte della gente non ha la minima consapevolezza dei rischi perché non sa cosa sia l’intelligenza artificiale. Il grosso delle persone non ha nemmeno mai sentito parlare di ChatGPT.
Chi sul tema della sicurezza ha posizioni contrastanti è Elon Musk, che genera perplessità negli investitori deviando i chip NVIDIA originariamente destinati a Tesla verso X e soprattutto verso la sua startup di intelligenza artificiale xAI. Pur generando malcontento, la strategia va nella direzione più volte illustrata da Musk di creare un unico grande sistema basato sull’AI che connetta tutte le sue aziende.
D’altronde la pervasività della tecnologia è innegabile, tanto che l’AI sta conquistando anche gli ambienti originariamente più ostili, ad esempio quello del Cinema.
Sony annuncia infatti che applicherà l’AI nella produzione cinematografica per ridurre i costi. Pur sembrando una banalità, la dichiarazione irrompe dentro Hollywood lanciando un segnale chiaro: nonostante le preoccupazioni delle maestranze le grandi compagnie hanno già deciso di abbracciare l’AI. In tutta risposta il produttore Chris Miller dichiara che mai userà la tecnologia generativa per i suoi lavori. L’inizio di un braccio di ferro tra artisti e major che proseguirà a lungo.
Non è un caso che le AI per la realizzazione di materiale video siano già tra le più chiacchierate di tutte. Lo dimostra l’ultimo round di finanziamento per la startup americana Pika: 80 milioni di dollari per un prodotto già disponibile al pubblico, che intende battere sul tempo OpenAI e Google, i cui rivoluzionari tool video sono stati annunciati ma non diffusi. Ma non è facile competere con le grandi aziende, anche considerato l’intreccio in aumento tra big tech e politica rappresentato dalla crescita vertiginosa di lobbisti AI a Washington.
In questo scenario Microsoft continua a tessere la tela di un futuro che nei suoi piani dovrebbe condurla a diventare definitivamente la più potente azienda del mondo o quasi; in un colpo solo stanzia 3,2 miliardi di dollari nell’infrastruttura AI svedese e stringe un accordo multimilionario con il colosso Hitachi.
Ma Microsoft non può certo sedersi sugli allori, perché la corsa pazzesca di NVIDIA la porta a diventare la seconda azienda americana di maggior valore di capitalizzazione, appena poco sotto la società di Nadella.
Invece di glorificare i propri successi senza precedenti, Jen-Hsun Huang preferisce lodare la “rivoluzione sanitaria” dell’AI dalla fiera Computex di Taipei. Viene in effetti da concordare a giudicare dalla creazione dell’AI giapponese che rileva sintomi di demenza in fase di sviluppo.
Ma l’innovazione procede spedita in ogni campo. Continuano, pur senza molto clamore mediatico, le incredibili applicazioni dei computer “biologici”, macchine composte da chip realizzati con tessuto cerebrale umano creato in laboratorio. L’ultima creazione in tal senso è la piattaforma Neuroplatform dell’azienda tecnologica svizzera FinalSpark.
E all’avanzare delle buone applicazioni, aumentano anche le preoccupazioni per la tenuta democratica. Cresce l’allarme per l’utilizzo dell’AI in azioni di influenza geopolitica. OpenAI e Meta denunciano la creazione di campagne digitali mirate con fake per inquinare le decisioni politiche. I responsabili? Israele, Russia, Cina e Iran. E non è tutto: un report di Microsoft sostiene che la Russia, esclusa dalle Olimpiadi di Parigi, starebbe organizzando anche una campagna di influenza segreta mirata a screditare i Giochi e seminare timori di terrorismo.