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Il sonno dell’intelligenza artificiale

Il sonno dell’intelligenza artificiale

Alcune funzioni dell’AI sembrano rappresentare un elemento di differenziazione tra le macchine e l’uomo. I recenti sviluppi nel campo della ricerca, però, rendono più sfumata una linea che si pensava netta e inamovibile. E se le macchine potessero dormire come gli esseri umani?

L’intelligenza artificiale è molto efficiente nell’esecuzione di specifici compiti. Lo è meno, invece, quando si tratta di apprenderne di nuovi una volta addestrata. Solitamente, infatti, quando si vuole insegnare all’AI a svolgere un nuovo compito, la sua abilità di eseguire quello precedentemente appreso viene drasticamente compromessa.

L’apprendimento permanente (lifelong learning, ossia la capacità di apprendere sempre qualcosa di nuovo) è un processo in cui il cervello umano è molto abile: continuiamo infatti ad apprendere nuove abilità e conoscenze per tutta la nostra vita. Ad aiutarci sono una serie di fattori, tra cui anche il sonno. Dormire ci permette di ‘staccare’ e di rielaborare inconsciamente quanto imparato nel corso della giornata, depositandolo e consolidandolo nella nostra memoria a lungo termine. Per questo motivo, un team di ricercatori ha pensato di studiare una soluzione che potesse permettere anche all’intelligenza artificiale di ‘dormire’, così da renderla più capace di apprendere nuovi compiti. 

La ricerca sul sonno dell’intelligenza artificiale

Un gruppo di ricercatori cechi ha sviluppato un sistema che permette alle AI di sperimentare qualcosa di simile al sonno. Si tratta di uno stato in cui si verifica una riaccensione dei neuroni artificiali di cui è composta l’AI in maniera caotica, che riattiva quindi anche le connessioni fissate nel corso del precedente periodo di attività. Una situazione più o meno analoga a quella che avviene in molti animali durante il sonno. 

Successivamente, il team ha dunque testato l’intelligenza artificiale.  

  • Per prima cosa, i ricercatori le hanno insegnato due compiti diversi ed è stato confermato che la capacità dell’AI di svolgere il primo è compromessa in modo rilevante dall’apprendimento del secondo. 

Poi, è stato testato il ‘sonno’ artificiale in due modi diversi:  

  • facendo ‘dormire’ l’AI solo alla fine, al termine di entrambi i processi di training
  • facendo ‘dormire’ l’AI per brevi periodi nel corso della seconda sessione di training
neuroni

Gli effetti del sonno sull’intelligenza artificiale

L’attivazione del sonno artificiale solo al termine di entrambe le sessioni di training non ha inciso in modo rilevante sulle prestazioni dell’AI.  

Optando invece per un sonno alternato attivato in diverse fasi del secondo processo di training – durante l’apprendimento del nuovo compito – si è notata un’importante differenza. L’intelligenza artificiale è stata infatti in grado di apprendere il secondo compito senza con ciò compromettere la sua performance nell’esecuzione del primo.  

Si è giunti ai risultati riportati sopra utilizzando una rete neurale di tipo spiking (spiking neural networks). Si tratta di un modello particolare di rete neurale che imita ancora più fedelmente il funzionamento del cervello umano rispetto a quelle comunemente presenti sul mercato. In futuro, dunque, al fine di potere implementare quanto rilevato, sarà necessario ripetere gli esperimenti con delle reti neurali tradizionali.

Il futuro della tecnologia

Le neuroscienze e la biologia in generale fungono da ispirazione per i ricercatori che lavorano allo sviluppo dell’intelligenza artificiale. Il trend si concretizza con le reti neurali – strutture artificiali che imitano i neuroni umani – e ora con l’integrazione di funzioni prettamente animali (come il sonno). L’obiettivo è sempre quello di migliorare le tecniche e il funzionamento del machine learning (apprendimento automatico). Gli sviluppatori puntano infatti alla creazione di modelli in grado di svolgere in autonomia compiti solitamente eseguiti da un essere umano. 

Questo orientamento si nota anche nel tentativo di donare all’AI i cinque sensi e nella sua antropomorfizzazione. Si pensi alle applicazioni di computer vision o di machine listening. I recenti sviluppi tecnologici sembrano dunque condurci verso un futuro in cui l’intelligenza artificiale si potrà comportare in modo più simile all’essere umano, mantenendo però notevoli vantaggi in termini di efficienza nell’elaborazione dei dati. I dubbi sono molti, ma il potenziale della tecnologia spinge allo sviluppo di sistemi sempre più evoluti.


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