Weekly AI news è la rassegna stampa settimanale curata dai nostri editor sui temi più rilevanti legati al mondo dell’intelligenza artificiale.
Lo scorso ottobre la città di New York ha lanciato un chatbot AI per assistere i cittadini, in particolare nella gestione di attività imprenditoriali. Il modello si chiama MyCity, è basato su Microsoft Azure, quindi sulla tecnologia di OpenAI. Un progetto bello e innovativo non fosse che, come è emerso nell’ultima settimana, molte delle risposte che MyCity dà ai cittadini sono sbagliate, talvolta illegali. MyCity è riuscito ad affermare che i datori di lavoro possono trattenere le mance dei dipendenti o cambiare i loro orari senza avvisarli. O ancora, ha dato suggerimenti sbagliati sulle regole per gli affitti. Non è un mistero che le allucinazioni per questo genere di domande abbondino in tutte le AI. Ma questo specifico chatbot aveva un ruolo ufficiale e la gravità dei suoi errori ha un peso un po’ diverso. Almeno per ora, dunque, missione fallita.
Questa settimana le aziende paiono lavorare ciascuna nel proprio posizionamento strategico, senza però lanciare segnali eclatanti.
L’annuncio più interessante arriva da OpenAI, che presenta il suo Voice Engine, applicazione per la clonazione vocale che però non riesce a fare lo stesso rumore di Sora. Altman si dedica poi all’allargamento geografico, aprendo a Tokyo il suo primo ufficio asiatico. Forse avvertendo una strana freddezza globale, OpenAI decide anche di aprire ChatGPT all’uso senza account, certamente per incrementare la curiosità nei confronti dell’AI di potenziali utenti ancora scettici. D’altronde la platea di utenza disposta a pagare per i servizi va allargata, perché l’efficacia di monetizzazione della costosissima AI è ancora un grande punto di domanda. Google sembra riflettere attorno agli stessi dilemmi e medita di mettere a pagamento alcuni servizi di potenziamento del suo motore di ricerca. Sarebbe una rivoluzione epocale del business model di Google, che da sempre cerca di evitare abbonamenti premium e affini. Chi proprio non rifiuta opzioni simili è Elon Musk, che continua a perseguire le sue ambizioni generative e lancia l’aggiornamento 1.5 della sua Grok, ancora considerata dai più un esperimento piuttosto che un vero e proprio prodotto.
A muoversi con decisione è a sorpresa Yahoo, che compra Artifact, l’app AI di news creata un anno fa dai co-fondatori di Instagram e dichiarata deceduta tre mesi fa. Yahoo crede nel modello di business e le ridarà nuova vita integrandola nel proprio motore di ricerca.
Ai dilemmi di business si sommano altri tipi di preoccupazioni per le aziende tech: il terremoto di Taiwan fa infatti tremare anche loro. La paura per il blocco della produzione dei chip di TSMC, che rifornisce Nvidia, si diffonde a macchia d’olio. E a guardare certi utilizzi verrebbe quasi voglia che la produzione di AI si fermasse davvero per un po’. La rivista indipendente israelo-palestinese ‘+972’ racconta del sistema bellico AI israeliano Lavender, sottoposto a pochissima supervisione umana. Anche sul fronte Russo-Ucraino l’uso dei droni AI è sempre più frequente: Kiev li utilizza regolarmente per attaccare le centrali russe di petrolio e di gas.
A ridare speranza è uno studio da Boston sull’ottima applicazione di ChatGPT in medicina. Il chatbot si dimostra più abile dei medici a formulare diagnosi e promette di garantire maggiore attenzione all’aspetto umano dell’interazione medico-paziente.
Tra problemi commerciali e bellici arriva una presa di posizione molto decisa dal mondo della cultura e dell’intrattenimento: più di duecento artisti musicali di fama internazionale firmano un appello per denunciare lo sfruttamento del loro lavoro da parte di aziende tecnologiche al fine di addestrare intelligenze artificiali. Le nuove innovazioni generative rischiano di ridurre ancor più le economie di un settore già provato dal digitale. Nessun commento da parte dei signori del tech. Che anzi premono l’acceleratore. Apple svela in uno studio la nuova ReALM, grande scommessa di Cupertino che promette di essere il modello più potente di tutti, già perfetto per l’integrazione nei suoi device. Apple è l’ultima grande azienda a mancare all’appello nel mercato AI. Viene da pensare che il suo attendismo dipenda proprio dalla difficoltà del settore nel generare dei veri profitti. Chissà se ci riuscirà almeno Siri.