Una recente sentenza di un tribunale statunitense ha stabilito che le opere generate esclusivamente dall’intelligenza artificiale non possono essere coperte da copyright. Il giudice ha motivato tale decisione sostenendo che l'”autorialità umana” è un requisito imprescindibile per il riconoscimento del diritto d’autore.
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Il caso
L’autore dell’opera al centro della controversia, Stephen Thaler, aveva citato in giudizio l’Ufficio del Copyright degli Stati Uniti, che aveva negato il riconoscimento del copyright per un’immagine generata dall’AI attraverso Creativity Machine, modello di AI generativa sviluppato dallo stesso attore.
Il giudice, Beryl A. Howell, ha deciso in favore dell’Ufficio (qui il testo integrale della sentenza) in quanto il copyright non è mai stato riconosciuto con riferimento a opere prodotte senza alcun tipo di guida umana. Il giudice ha sottolineato dunque la necessità del requisito dell'”autorialità umana”.
Thaler ha quindi annunciato ricorso, dando il via a quello che si preannuncia come un intricato dibattito legale destinato a regolare un ambito in rapidissima evoluzione. La questione sta facendo emergere posizioni contrastanti tra chi invoca un ripensamento della normativa sul diritto d’autore e chi invece ritiene debba essere preservato il ruolo centrale dell’apporto umano nella creazione artistica.
Il significato della decisione
La pronuncia del tribunale distrettuale del District of Columbia ha fatto molto discutere in quanto pone diversi interrogativi su come considerare giuridicamente le creazioni artistiche prodotte dalle AI, ormai sempre più sofisticate e capaci di generare elaborati complessi e convincenti senza alcun input umano.
Se da un lato questa sentenza segna un punto a favore della tutela della creatività umana, dall’altro solleva dubbi su come proteggere i diritti di chi investe risorse nello sviluppo di software di intelligenza artificiale in grado di creare arte.
Sullo sfondo rimane il dilemma etico e legale su come considerare il rapporto tra tecnologia e opera d’ingegno e su quale sia il confine tra strumento e autore. Il giudice stesso ha riconosciuto che si tratta di tematiche nuove che porranno sfide complesse in futuro.
Altre azioni: il caso New York Times
Altri casi riguardano invece un altro step del processo generativo dell’AI, ossia la fase di training. Come compensare, infatti, gli artisti umani che hanno creato le opere d’arte, i testi letterari e gli altri contenuti utilizzati per il training dei modelli che, a loro volta, producono contenuti a partire da un semplice prompt testuale?
Persino The New York Times ha recentemente bloccato il web crawler di OpenAI, impedendo alla società di utilizzare il contenuto della testata per addestrare i suoi modelli di intelligenza artificiale. Questa mossa arriva dopo che il NYT ha aggiornato i suoi termini di servizio a inizio mese per vietare l’uso dei suoi contenuti per il training dell’AI.
Il giornale sta anche valutando un’azione legale contro OpenAI per presunte violazioni del copyright, unendosi ad altri che hanno fatto causa all’azienda per scraping non autorizzato di contenuti protetti. Il braccio di ferro tra il NYT e OpenAI evidenzia le complesse questioni legali ed etiche sollevate dall’ascesa dell’AI generativa, tanto in fase di training quando successivamente, nel momento dell’effettiva produzione di contenuti ‘originali’ da parte dell’intelligenza artificiale.