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Per un ricercatore di OpenAI, l’intelligenza artificiale è già “leggermente consapevole”
Il 9 febbraio, Ilya Sutskever, a capo del gruppo di ricerca OpenAI cofondato da Elon Musk, ha twittato “può darsi che le grandi reti neurali di oggi siano leggermente consapevoli”. In risposta, molti altri studiosi e ricercatori dell’intelligenza artificiale hanno denunciato l’affermazione dello scienziato, suggerendo che stava danneggiando la reputazione del machine learning e rappresentava poco più di una “pubblicità ” per il lavoro di OpenAI.
La mancanza di donne al lavoro nell’AI potrebbe portare alla crescita dei bias
Se si prova a tradurre su Google Translate una semplice frase in inglese, come “The doctor is in the hospital” scopriremo che, in italiano, il dottore sarà sempre un maschio. Se in alcuni casi – come lo spagnolo – Google ci permette di scegliere tra “el doctor” e “la doctora”, questo non avviene ancora nella nostra e in tante altre lingue non neutre. È solo uno dei tanti esempi di quanta strada ci sia ancora da fare, in termini di inclusione di genere, nel campo dell’intelligenza artificiale.
Questo perché chi progetta queste tecnologie, come ogni essere umano, porta con sé una certa visione del mondo con tutti i suoi pregiudizi (bias), che vengono riprodotti e amplificati dagli algoritmi, basati sul machine learning. Il report dell’Eige cita un’indagine di LinkedIn del 2019 secondo la quale solo il 16% dei posti di lavoro altamente qualificati nel settore AI, in Europa e nel Regno Unito, sono occupati da donne. I paesi in cui il gap è minore sono Lettonia e Finlandia (con, rispettivamente, il 29% e il 26% di donne), mentre i fanalini di cosa sono Repubblica Ceca e Slovacchia (con il 9% e il 10%). Questo gender gap è ancora più evidente a mano a mano che si va avanti con la carriera. Se tra i lavoratori fino a 2 anni di esperienza le donne rappresentano il 20%, la percentuale scende al 12% dopo dieci anni. Altri dati citati dall’Eige confermano la scarsa presenza femminile: tra i ricercatori più importanti nell’ambito del machine learning, per esempio, le donne costituiscono il 18%. Nei paesi del G20 solo il 7% dei brevetti sono depositati da donne.
L’AI per scoprire nuove varianti Covid-19
Sarà l’intelligenza artificiale ad avvisarci della diffusione di nuove varianti Covid-19? Sì. Da metà gennaio è entrato in funzione Early Warning System, un sistema di allerta che integra le informazioni sulle sequenze del virus con le capacità predittive dell’AI. Nella fase di test aveva individuato con due mesi di anticipo il 90% delle varianti definite «preoccupanti» dall’Organizzazione mondiale della sanità. L’ha creato la startup britannica InstaDeep, leader in Europa nei sistemi decisionali AI, con BioNTech, la biotech tedesca che ha sviluppato il vaccino con Pfizer.
L’arte creata dall’intelligenza artificiale non può essere protetta da copyright
L’Ufficio per il copyright degli Stati Uniti ha negato ancora una volta uno sforzo di tutelare un’opera d’arte creata da un sistema di intelligenza artificiale. Il dottor Stephen Thaler ha tentato di mettere sotto copyright un’opera d’arte intitolata A Recent Entrance to Paradise, sostenendo in una seconda richiesta di riconsiderare la sentenza del 2019 e di considerare incostituzionale il requisito della “paternità umana”. In altre parole, ad oggi secondo l’ufficio brevetti, per poter proteggere un’opera con il copyright è necessario che sia stata creata da un umano.
L’intelligenza artificiale che risponde da sola alle mail
Ovy è un assistente virtuale integrato con i software e i servizi di Google e ha il pregio di essere stato sviluppato da una startup italiana, Userbot, fondata nel 2017 a Milano. È uno strumento indirizzato a un’utenza business (professionisti, Pmi ma anche grandi aziende) che sfrutta gli algoritmi di intelligenza artificiale per elaborare le e-mail di risposta con un solo click, riducendo di conseguenza in modo sostanziale i tempi di gestione delle comunicazioni in entrata.